Sabato scorso ho conosciuto uno dei primi, se non il primo, allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana: Agostino Burberi, che aveva otto anni quando a Barbiana conobbe don Lorenzo Milani. E’ a Varese per presentare il suo libro. Ci vado per conoscere l’allievo, per capire come si svolge l’esistenza di chi ha incontrato sulla propria strada un “grande” che ne ha condizionato le scelte.
E’ lui, non tanto il suo libro, che mi spinge a partecipare a una serata a schema fisso: so in anticipo come andrà. C’è un giornalista che lo intervista sulla base di domande precostituite e le risposte dovranno seguire il binario tracciato in precedenza.
Burberi ricalca uno schema noto. Un incontro come questo si replica decine di volte nelle scuole, negli oratori, nei circoli culturali, dove viene invitato a parlare di don Lorenzo, e un po’ anche di sé.
Credo che alla maggior parte degli intervenuti interessi soprattutto conoscere particolari momenti della vita del Priore di Barbiana, visti e raccontati così da vicino. Agostino, mi sembra di vederlo, chierichetto di otto anni, intimorito al primo incontro con il prete che arriva dalla città: oggi risponde compunto, serio, quasi preoccupato di non essere all’altezza.
Mentre l’ex allievo si confronta con il giornalista, io seguo i miei pensieri. Mi chiedo il peso di un imprinting come quello trasmesso da una persona carismatica come don Milani.
Nella vicenda di Barbiana svetta sopra a tutti lui, l’uomo che precorre i tempi, il profeta, l’innovatore della didattica, colui che dentro una scuola ingessata dalle vecchie regole di classe seppe proporre un modello di istruzione valido per una nuova società, tracciando una via che sarebbe servita a noi, docenti del post boom economico, quando fummo chiamati a far fronte alle richieste della scuola di massa.
Sovrasta chiunque abbia incontrato il religioso scomodo, inviso non solo alla Curia fiorentina ma anche al mite parroco del paesello vicino, tale don Donatini, che sconsigliava vivamente ai genitori di mandare i ragazzi lassù “perché don Milani è un prete poco raccomandabile”.
Don Lorenzo, prete fedele alla Chiesa, fu l’uomo che trasformò un doloroso allontanamento nell’esperienza centrale della vita, diventando una bussola per la scuola italiana dagli anni Sessanta in poi.
Pochi decenni più tardi, negli anni dell’efficientismo scolastico di stampo aziendalistico, al clou del furore programmatorio imbevuto di termini come finalità, obiettivi, risultati, e poi ancora, di scienze salvifiche come la docimologia (la scienza “esatta” che studia l’attribuzione “oggettiva” dei voti, sulla base di prove testate per valutare questa e quella competenza), alle soglie del Duemila, un collega mi rimprovera di passatismo: ancora con don Milani!
Ma torniamo ad Agostino Burberi, 70 anni, sindacalista della Cisl tessili in pensione, uno dei primi sei ragazzi di Barbiana. Tra una riflessione personale e un’altra, colgo qualche brano del suo intervento. Questo, secondo lui, il “succo” del libro “Lettera a una professoressa”: il problema non è come fare scuola, ma quali persone essere per poter fare scuola. E poi, come istruire tutti, anche con un solo libro, quando dei libri c’è una sola copia.
Penso che debba essere stato duro rimanere fedeli, per tutta la vita, al ruolo di allievo di tale maestro: chiamato a testimoniare la grandezza di quell’esperienza, avendo da superare i propri insuccessi personali, dovendo accettare la caduta di alcune delle illusioni suscitate dal pensiero del sacerdote, con la difficoltà di trasferire altrove la singolare e irripetibile esperienza di Barbiana.
Non riesco a pensare ad Agostino Burberi in termini di “ex” allievo. L’uomo che vedo davanti a me è e resta, per sempre, l’allievo di don Lorenzo. Con una vita di impegno politico, spesa a testimoniare l’esperienza del maestro, condizionata dall’appartenenza alla scuola di Barbiana e dalla vicinanza a quel sacerdote cinquant’anni dopo la morte omaggiato da un Papa.
Mi sono rialzata chiedendomi che cosa sarebbe stato della mia vita di educatrice se avessi avuto anch’io l’opportunità di un incontro come quello capitato ad Agostino.
Chissà se e che cosa avrei fatto di diverso, di meglio, di più.
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