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Attualità

TRE AMICI, UN PROBLEMA

EDOARDO ZIN - 07/07/2017

Immigration: ship frigate Espero patrol Mediterranean SeaCompagni di scuola fin dalle elementari, amici nel condividere valori e impegni giovanili, ci siamo trovati a lavorare nell’età matura per e con i migranti anche se con responsabilità diverse: uno, ordinato prete, è diventato vescovo, nunzio apostolico, segretario del consiglio pontificio per i migranti e gli itineranti; un altro, entrato in diplomazia, ha girato mezzo mondo, è divenuto ambasciatore e successivamente direttore generale dell’emigrazione al ministero degli esteri; chi scrive ha insegnato ai figli e ai nipoti dei nostri minatori emigrati in Belgio, condividendo un po’ della loro vita frutto di stenti e saccheggiata da scaltri predatori della giustizia.

Pur percorrendo strade diverse, abbiamo continuato a vivere un’amicizia feconda di scambi, frequentandoci, incontrandoci tra un permesso e l’altro, partecipando alle feste di famiglie, passando vacanze assieme, spartendo gioie, dolori, preoccupazioni, studi ed evocando non tanto i folti sentieri della memoria quanto i momenti della storia d’oggi annosa e sofferta.

L’ultima volta che ci siamo incontrati non potevamo fare a meno d’interrogarci sull’irruzione davvero epocale di “estranei” in Italia, punto d’approdo di tanti disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame.

“Ripeteresti e scriveresti oggi le stesse parole relative all’accoglienza dei migranti e alla solidarietà come diritto e dovere non solo dei cristiani, ma di ogni uomo anche non credente, che non è indifferente al dolore altrui?” – chiedo provocatamente all’amico vescovo.

“Il Vangelo ha valori perenni – mi risponde – Il “Beati voi raminghi perché sarete accolti” e beati i perseguitati, i percossi, coloro che hanno fame, i tessitori di pace sono struggenti ansie di verità valide ieri come oggi. L’essenza del messaggio evangelico “ama il tuo prossimo come te stesso” è il riconoscimento che ogni uomo concreto ha una dignità e un valore. Anzi, oggi, quel richiamo evangelico è più che mai urgente e valido perché le situazioni storiche e i conflitti reali devono condizionare la coscienza di ogni uomo che è tale perché comprende e abbraccia l’altro. Non mi preoccupano i seminatori d’odio che vedono nei migranti coloro che ci portano malattie, rubano il lavoro ai nostri, sono tutti pericolosi terroristi, piuttosto mi preoccupa l’indifferenza, essenza dell’inumanità. E mi inquieta questa insensibilità che non fa parte della nostra cultura e civiltà. Questi cristiani apatici – non tanto per cattiveria preordinata, ma per l’ egoismo proclamato da slogans dei politici che cercano consensi e non propongono soluzioni concrete – si comportano dinanzi a questo macroscopico fenomeno come fa la pioggia: impiegano il tempo con noncuranza, aspettando che la pioggia finisca…”.

“Non sono d’accordo. Questo capitava fino a poco tempo fa. – gli ribatte il diplomatico – Il problema migratorio si dipana in una continua tensione tra la responsabilità della coscienza morale e quello delle istituzioni, principi entrambi presenti nel Vangelo. La politica si è presa a carico questo vero dramma. Il salvataggio in mare ad opera di ONG, di navi che battono bandiera dei paesi dell’UE, della nostra marina e della guardia costiera hanno permesso di salvare migliaia di vite umane. Nessun governo occidentale aveva previsto un esodo così massiccio di migranti “economici” e di profughi. L’Italia, terra ligia all’imperativo dell’accoglienza e della solidarietà, ha predisposto una buona prima fase basata fondamentalmente sul volontariato, ma il piano di collocamento, soprattutto in piccoli comuni, ha trovato la resistenza di abitanti guidati da sindaci ostili per motivi ideologici. E’ fallita l’operazione di ricollocamento ad opera dell’UE e dei paesi dell’est e del nord che si sono chiusi ad ogni concreta immissione verso i loro confini”.

La conversazione continua tra speranze ed angustie. La sensibilità sociale della nostra cultura occidentale, capace di creare e sostenere i diritti fondamentali dell’uomo, oggi fa ricorso alla violenza e al sospetto, anche perché non ha più la forza e la determinazione della coesione fra gli stati. Si è tentati di rispondere con la violenza alla brutalità altrui, si ammanta con false e pretestuose considerazioni una paura dissennata, tutti blaterano progetti astrusi e non dimostrano di conoscere la sterminata complessità delle migrazioni che non possono essere gestiti dalla più oliata macchina burocratica, senza collocarle nel periodo storico che stiamo vivendo…

I due miei amici, che irridono di me come “abrégé” per la mia ossessione a sintetizzare, chiedono a me il mio parere. Non fatico.

Ricordo loro che questo fenomeno migratorio era atteso ancor prima delle cosiddette “primavere arabe”. Paolo VI invocava l’aiuto per i paesi in via di sviluppo fin dal 1967. Ci fu allora una gara di solidarietà. Nel frattempo, alcuni paesi sono caduti in mano a spietate dittature, le centrali delle piraterie marittime sono migrate dal Corno d’Africa verso il Mediterraneo, le organizzazioni terroristiche operanti nel Sahara e nel Sahel hanno invaso stati falliti, come la Libia, o permanentemente in guerra, come la Siria e l’Irak, mentre gli aiuti per la cooperazione stanziati dall’Italia e dall’UE sono precipitosamente diminuiti. L’Italia, dopo la chiusura della rotta balcanica, è divenuta il terminale dell’imbuto che incanala questo massiccio esodo. I paesi di provenienza, di transito e di destinazione non possono gestire questo severo fenomeno se non con l’aiuto concreto e coeso dell’UE. Sono convinto che non basteranno le sanzioni europee contro Ungheria, Polonia e Slovacchia a far retrocedere questi paesi dalla loro miope politica, perciò dovranno essere gli altri stati-membri dell’UE a farsi carico di (1) aiuti straordinari per aiutare economicamente i paesi d’origine: l’ha capito bene frau Merkel, (2) combattere con mezzi straordinari, anche rivedendo i trattati internazionali e gli accordi bilaterali, i traffici di migranti che con i loro loschi guadagni alimentano terrorismo e criminalità, (3) combattere le forme di gangsterismo jihadista che sono fonti di risorse per pagare i foreign fighter.

“Sulla gestione del fenomeno si gioca la stessa sopravvivenza del progetto politico europeo e la sicurezza europea si potrà assicurare solo con una forma di politica comune.” – aggiunge il diplomatico – “Le politiche nazionali al riguardo, oltre che essere insostenibili e poco sicure, spingono i vari attori dei paesi di transito a prendere il sopravvento sulle forme di poteri nazionali. Se papa Francesco ha il dovere di fronte all’umanità di continuare ad invocare accoglienza e solidarietà, i governi sono costretti a mediare e a gestire il fenomeno migratorio con le armi della politica.”

“Sì, la politica – irrompo io – è ciò che manca. Nelle formidabili mescolanze di popolazioni, nel nuovo meticciato ormai nato, prevale non la ragione, ma la subordinazione al pensiero partitico, non la comprensione, ma l’incomprensione, non l’integrazione, ma l’esclusione e ciò porterà alla moltiplicazione delle divisioni, in un momento in cui c’è un estremo bisogno di unità.”

L’amico vescovo gira e rigira tra le mani la croce pettorale, il diplomatico agita il cucchiaino nel gorgo della tazzina, io la tengo tra le mani. Ci guardiamo taciturni. Nel momento del silenzio ripensiamo al nostro vivere giovanile, alle nostre attese, alle speranze condivise in luoghi dove splendeva l’estate dei sogni, mentre attorno a noi oggi s’annebbia l’inverno.

 

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