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Pensare il Futuro

BENI COMUNI

MARIO AGOSTINELLI - 30/06/2017

ostromAuspichiamo la stabilizzazione dei beni comuni come salvaguardia del futuro dell’umanità (pensate all’acqua in questa fase di siccità!), ma rimaniamo spesso all’auspicio e non lo traduciamo in azioni.

Dovremmo intendere il mondo dei beni comuni come istituzioni o spazi di azioni collettive, nei quali si producono, curano, gestiscono e sviluppano una grande varietà di cose indispensabili alla vita. In questi spazi vanno pensate insieme equità, libertà e sostenibilità, cosa piuttosto rara nella storia delle idee politiche.

Riprendo qui alcuni considerazioni fatte da un premio Nobel. “Un concetto centrale per questi spazi è quello dell’auto-organizzazione” dice Elinor Ostrom, insignita del Premio Nobel per l’economia nel 2009, che ha identificato otto principi per stabilire la corretta gestione di istituzioni per il bene comune. “Il settimo afferma che lo stato deve riconoscere il diritto degli appropriatori (di beni comuni), a organizzarsi.

Ostrom sancisce una specie di “diritto all’auto-organizzazione” senza interferenza di autorità governative esterne. Questo principio però funziona solo se il mondo non viene tagliato in due: la produzione su un lato, la distribuzione sull’altro. Si tratta, fin dall’inizio di una sola cosa. Se – e questo è il secondo principio – si contribuisce volontariamente, considerando la produzione e riproduzione come due aspetti di un unico processo, la questione della distribuzione non si pone solo in un secondo momento, ma è fin dall’inizio un tema sotto forma della predistribuzione come la chiamano gli economisti. Di cui si può occupare lo stato o le persone stesse.

Il che ci porta alla questione della proprietà e al terzo principio: possesso invece di proprietà. Interessano i diritti d’uso, naturalmente anche quelli individuali, non la disposizione individuale illimitata su cose che in linea di principio non dovrebbero essere la proprietà di una sola persona.”

In linea di principio si può produrre come Bene Comune tutto ciò che si può anche produrre come merce, ma con criteri opposti. Infatti si tratta di concetti antitetici che seguono logiche diverse.

Nell’economia dei “Commons” il punto di partenza del “pensiero oiconomico” non è la scarsità ma l’abbondanza. Per esempio: produrre localmente ciò che pesa – macchine, materiali edili, cibi – e condividere globalmente quello che è leggero: sapere, idee, codici e design. Sembra banale, ma è radicale in un mondo dove è diventato normale fare del sapere, dei codici e del design una “proprietà intellettuale”.

Strettamente legato è un altro principio: condividere tutto quello che è condivisibile! Tenendo in mente che la condivisione deve essere pensata insieme con il progettare e realizzare. Produzione e uso devono stare insieme.

E un altro principio sarebbe: aperti ma non illimitati. I Commons non sono senza limiti, dove ognuno o ognuna può fare quello che gli pare.

I Beni Comuni come un grande buffet collettivo, al quale contribuiscono tutti e tutte e non un paese della Cuccagna dove ognuno e ognuno può servirsi come gli pare. D’altra parte c’è il profondo radicamento interculturale e interreligioso dell’idea dei Commons nella storia umana.

Secondo l’Istituto Robert Koch ci sono in Germania tra 70.000 e 100.000 gruppi di autoaiuto con circa 3 milioni di persone impegnate, solo nel campo sanitario. O se guardiamo i terreni: la ricerca ci dice che in Romania ci sono circa 1.700 comunità di agricoltura o selvicoltura che gestiscono complessivamente un milione di ettari.

Sembra anche che si stia rafforzando una certa stanchezza verso la società dello spreco e una stanchezza della dipendenza: ci sentiamo e infatti siamo dipendenti dalle valutazioni della nostra performance, dalla situazione sul mercato del lavoro, da un mondo della finanza opaco, da decisioni politiche sopra la nostra testa e dai prodotti dell’industria alimentare.

Cresce lo charme di una vita più indipendente dalla logica capitalistica dello scambio che penetra tutto: il mercato della formazione, del lavoro, delle finanze, della politica, dei cibi, etc. L’onnipresenza del mercato stanca.

Inoltre le tecnologie digitali dagli anni Novanta dell’ultimo secolo offrono nuove possibilità di comunicazione. La comunicazione è una capacità chiave per l’auto-organizzazione ed è ovvia la enorme differenza tra una comunicazione attraverso segnali di fumo o attraverso laptop, tablet o smartphone.

Ma, in particolare, il discorso sui Commons comprende anche la trasformazione della società e una profonda svolta culturale che fa riemergere la nostra natura come esseri in rapporto con e dipendenza da altri. l’Io e il Noi non sono separati, ed è bene tenerne conto nella terribile crisi che abbiamo davanti.

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