Il più contento del risultato delle elezioni amministrative appena conclusesi non è stato, ovviamente, Renzi, come non lo sono stati i leader del centrodestra che hanno vinto un po’ dappertutto, bensì il premier in carica Paolo Gentiloni. Ma arriviamoci con calma… Intanto rileviamo che, nonostante il cerchio magico che lo sostiene, Renzi è diventato la palla al piede del Pd, perché il suo modello politico un po’ americaneggiante e un po’ populista (lui che chiama populisti gli altri!) alla fine non ha accontentato nessuno, né dentro, né fuori il partito. A dirla tutta, egli ha prodotto una crisi d’identità negli elettori del Pd, che sono ancora tanti, perché la maggior parte di essi non lo ama in quanto lo considera un corpo estraneo, una scheggia impazzita della loro storia politica che, non dimentichiamolo, iniziò con Sturzo e con Gramsci, i quali nulla avevano in comune con il Matteo nazionale.
Per quanto riguarda il calo di consensi in generale, invece, crediamo che sulla debacle del Pd abbiano inciso anche le vicende giudiziarie delle persone vicine a Renzi. I teorici presupposti per vincere queste elezioni c’erano, se non altro perché il Centrodestra non ha mai brillato a livello locale, eppure per il Pd i ballottaggi sono stati una debacle rovinosa, laddove ha perso 16 capoluoghi di provincia sui 22 in palio.
Per consolarsi Renzi ha detto che le elezioni non sono da considerarsi «…. un test politico, risultato a macchia di leopardo», dimenticando che per lui queste elezioni erano un test politico a conferma o smentita della batosta del 4 dicembre dell’anno scorso e che i numeri per il Pd erano impietosi indipendentemente dalla loro dislocazione.
Che cosa succederà adesso nei due schieramenti? Un gran casotto immaginiamo perché, se Renzi ne esce indebolito, il centrodestra si ritrova in pieno marasma tra Berlusconi che non vuole scendere da cavallo, Salvini della Lega che vuole le primarie della coalizione perché è sicuro di vincerle, e Giorgia Meloni che, invece, ha abbandonato l’idea delle primarie e si sposta sempre di più verso Forza Italia, sperando che in qualche maniera le riesca ciò che non riuscì a Fini: guidare il centrodestra in futuro. Per quel posto, però, c’è già il governatore della Liguria, Giovanni Toti, che scalpita.
Nonostante tali presupposti, i più ottimisti nel centrodestra pensano che tra meno di un anno potrebbero ritrovarsi di nuovo alla guida del Paese. Insomma, v’è molta euforia da quelle parti, anche nel Varesotto in verità dove, dopo la vittoria di Dario Galli a Tradate e di Fratus a Legnano, la Lega chiede le dimissioni del presidente della Provincia. Ciò perché Gunnar Vincenzi non rappresenterebbe più la maggioranza della popolazione, dimenticando che alle urne è stata chiamata soltanto una piccola parte di quella popolazione con il sovrappiù di un astensionismo vicino al 54%. Va bene intonare il peana – serve a gratificare la truppa ed a nascondere gli errori dei comandanti – ma la verità è che il Centrodestra a Varese non è, al momento, in grado di chiedere o d’imporre alcunché. A meno d’inediti ma non improbabili salti della quaglia.
La vera partita di queste elezioni amministrative parziali, però, si sta ancora giocando a Roma dove Renzi ne esce fortemente ridimensionato e l’ipotesi di elezioni anticipate (e con quale legge elettorale poi?), con le quali pensava di riprendersi il governo, si allontana e probabilmente lo scialbo governo Gentiloni porterà a termine la legislatura. Anzi, facciamo una previsione: alla prima favorevole occasione Gentiloni, per dare una prova di forza, si toglierà dai piedi una renziana di ferro, quella che secondo noi è diventata la donna più antipatica d’Italia: Maria Elena Boschi. E chissà che il mite Gentiloni non stia anche pensando ad un hashtag del tipo #MatteoStaiSereno.
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