Riflessione preliminare: oggigiorno la gentilezza, soprattutto quella d’animo, poiché di quella da marketing abbiamo già detto (cara, buongiorno tesoro, come posso esserTI utile), è un bene difficile da reperire, tanto da restare ben sorpresi quando se ne viene in contatto in modo gratuito e inaspettato.
Un temporaneo problema di salute, dall’apparente modalità di urgenza ma per fortuna presto superato, mi porta al Pronto Soccorso con approdo di lì a poco al reparto specifico. Sull’ascensore mi imbatto in una prima operatrice sorridente e gentile ma senza l’affettazione di chi si sforza di esserlo per dovere d’ufficio.
Registro la modalità particolare del primo approccio, diversa da quella solita: in linea generale il personale ospedaliero è cortese ed efficiente ma senza calore umano.
Nella sala d’attesa, dove sosto poche decine di minuti, il personale sanitario che si alterna nelle chiamate degli utenti mostra una buona dose di tolleranza verso i “pazienti impazienti”, di cui non raccoglie le punte acide presenti in taluni, né reagisce alle consuete lamentele sul protrarsi delle attese.
Osservo incuriosita, sottraendomi al richiamo delle tecnologie a cui si stanno dedicando molti dei presenti, che, indipendentemente dall’età, stanno chini sui loro congegni elettronici vari. Lo spettacolo del prossimo è sempre interessante.
A quale corso sulla comunicazione avranno partecipato gli addetti a quel reparto? Perché quel corso sarebbe da suggerire ad altri reparti, ad altri studi medici, pubblici o privati, con tanto di esercitazioni pratiche.
Essere gentili e disponibili quando si lavora a contatto con il pubblico, tanto più se è un pubblico sofferente come lo è l’utenza ospedaliera, dovrebbe far parte delle attitudini naturali, in assenza delle quali le persone andrebbero essere destinate alle mansioni che non richiedono una dose continuata di contatti interpersonali.
E’ il mio turno: nello studio mi accoglie un medico che ascolta guardando diritto in viso, dopo avermi fatto accomodare e avere liberato una sedia per le mie mercanzie: borsa, occhiali, giornale, cellulare.
Al termine della visita si informa sui possibili controlli, si rende disponibile per recuperare un piccolo spazio per me in un giorno di piena estate e si scusa per potermi offrire un appuntamento solo al mattino alle 8.
Nel congedarmi mi cadono alcuni oggetti che il medico si affretta a raccogliere, invitandomi a stare tranquilla, avendo colto la mia agitazione.
Seconda riflessione: la gentilezza, quella naturale, che viene dall’animo, è contagiosa. Costringe l’altro, gli altri, a rispondere con le stesse modalità. Un medico gentile non può essere aiutato da un infermiera brusca o poco cortese, né può accettare che nel suo reparto il clima sia soltanto e freddamente cortese.
In tempi di “vaffa” grillini e di scortesie tributate da ogni classe di età ad altrettante variamente composte classi di età, non stupisca il mio stupor: il fatto è che non mi capita troppo spesso di imbattermi in storie di ordinaria gentilezza. Per questo credo che sia utile sottolinearne l’importanza quando la si incontra.
Se poi ad esercitarla è un medico, che lavora con persone in stato di soggezione e di dipendenza dall’altro, il suo valore cresce.
Mi viene voglia di proporre, a questo medico, un’improvvisata intervista. Per saperne di più, di lui, dei suoi genitori, della scuola che ha frequentato, delle sue frequentazioni da ragazzo, dove ha studiato da medico; se era aggressivo con i compagni di gioco. Vorrei capire se la gentilezza di cui è dotato è una virtù trasmissibile per via ereditaria o per esperienza ambientale, se nelle università di medicina si studiano anche le relazioni umane e il loro impatto sulla salute dei malati eccetera.
Immagino la reazione di un medico che casualmente mi legga: sarà pronto a riversare le mie riflessioni dal personale sanitario al mondo della scuola e dell’educazione, e a disquisire sulla quantità di gentilezza di insegnanti, presidi, bidelli, segretari gentili …
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