C’era bisogno di convocare l’assemblea degli iscritti al Pd per decidere se l’esperienza amministrativa a Varese deve proseguire oppure no? Non c’era bisogno. Eppure il Pd chiama a raccolta i seguaci lunedì prossimo, li farà dibattere e votare. Sì o no a Galimberti: una sorta di referendum solare/lunare (o marziale/marziano) a un anno dall’insediamento a Palazzo Estense.
Curioso e sorprendente. Vero che il dissenso interno continua a manifestarsi, dimostrato dalla riottosità d’alcuni consiglieri comunali a seguire la linea indicata dal sindaco, e gli si vuol opporre un argine. Idem vero che, per limitare o assorbire gli screzi, i criteri cui ispirarsi sembrano diversi. Molto diversi. L’ultimo da architettare e perseguire è il braccio di ferro dentro la struttura del partito. Se il verdetto (1) esprimerà al primo cittadino il consenso di cui egli già gode, nulla di nuovo verrà aggiunto a quanto si conosce, e però la discussione interna –spifferata all’esterno- ingigantirà le crepe esistenti. Se (2) esprimerà un favore ridotto, sarà dimostrato quel deficit politico di dialogo che per essere sanato chiede/implora il contrario della sua pubblicizzazione, a meno di non prediligere il masochismo. Se (3) esprimerà un appoggio superiore allo status quo, la fronda municipalista non se ne farà comunque influenzare. Continuando a comportarsi nel modo disarmonico in cui s’è fino ad oggi comportata, se non peggio.
Una strategia dunque azzardata/incomprensibile. O forse solo un maldestro espediente furbo/tattico, destinato a causare probabili danni, secondo la regola imperante in simili casi. Galimberti non necessita di verifiche tra i democratici. Sono quelle tra i cittadini a contare. Ha appena iniziato il rinnovamento bosino, gli tocca il diritto/dovere di proseguire l’opera e, augurabilmente, di concludere la legislatura. Sbagliato trarre momentanee, opportunistiche e strumentalizzabili conclusioni. Sbagliato imitare sul piano locale il pessimo esempio dato dal Nazareno romano. Sbagliato, con una tale trovata, causare lo sconcerto tra i varesini credenti/creduli nell’unitario impegno dei democrats per uscire dalle secche di ventitré anni di dominio di Lega a Forza Italia. Sbagliato stupire/irritare gli alleati, che garantiscono un piccolo e tuttavia determinante apporto alla giunta municipale.
La dialettica è un bene prezioso purché usato con accortezza. Nelle sedi opportune, nei momenti adatti, nello spirito del tempo. Senza cedimenti a insipienza, provocazioni, astuzie. Han la certezza, dentro il Pd, d’essere sintonizzati con la corrente dell’attualità popolare? Non li sfiora il dubbio che iniziative valutate d’alto profilo strategico corrano il rischio d’essere intese come di basso livello populistico? Qualora (il dubbio) li sfiorasse, sarebbe opportuno coglierlo. E ben diversamente impostare le sventurate assise del 3 luglio che, se proprio si devono tenere, meritano d’intestarsi un significato propositivo (che cosa fare di più e meglio per Varese) invece che tribunalizio (quale sentenza emettere su Galimberti; quale sui contestatori di Galimberti; quale sui fedelissimi di Galimberti). Il processo virtuoso in cui Varese fidava, e forse/certamente fida ancora, è un altro.
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