On line, in quella miniera che è Liber Liber, si può trovare un testo dedicato al vino. Il libriccino fu pubblicato dai Fratelli Treves Editori nel 1890 (per inciso è giusto ricordare che in quell’anno morì Carlo Lorenzini, cioè Collodi). È stimolante – anche dal punto di vista linguistico – conoscere queste pagine, cercando di farle dialogare con l’oggi.
Nella prefazione che qui si riporta integralmente si può leggere: “La nota editoriale ci informa che la conferenza (cioè l’opuscoletto con il colorito saggio deamicisiano) che noi ora ripresentiamo, era già stata pubblicata dall’editore E. Loescher e faceva parte di un ciclo di undici “conferenze pubbliche intorno al Vino tenute a Torino da ‘undici amici’”.
L’originalità dell’argomento e la fama dei conferenzieri fece sì che l’iniziativa ottenesse grande successo. I relatori, insigni studiosi quali i professori Graf, Corrado, Bizzozero, Mosso, Cossa, Arcangeli, Lessona, Cognetti, Lombroso e Giacosa trattarono del vino da varie angolazioni: in relazione con la leggenda, con le lettere, con la patologia, con la fisiologia, con la chimica, con la botanica, con la storia naturale, col commercio, col delitto, con la poesia.
Edmondo de Amicis chiuse la serie affrontando gli effetti psicologici del vino, illustrando come esso agisca – quale potenza occulta – sull’intelligenza, sull’immaginazione e sul sentimento.
Anche sul vino ognuno ha diritto di avere l’opinione che vuole. A noi piace, e ci è sembrato non privo di interesse, riproporre questo curioso scritto in un momento in cui massima è l’attenzione verso un uso corretto e quindi gradevole di questa bevanda.
La nostra attenzione – pare ovvio – è rivolta ad altri aspetti. Ma seguiamo con diligente curiosità il ragionamento di Edmondo De Amicis. Lo scrittore ormai da quattro anni aveva scritto il suo più celebre romanzo, modello di formazione di grande successo anche se non del tutto accettato dal mondo cattolico (non si celebra neppure il Natale, scrivevano i benpensanti).
De Amicis introduce la sua analisi in questo modo che così possiamo riassumere. È utile fare uno sforzo per capire, dopo una sbornia provocata da un geniale banchetto con gli amici i diversi periodi di alterazione per cui passa la mente, il cuore e i linguaggio; e di rendersi conto della progressione dell’ebbrezza; di studiare curiosamente quell’io fittizio ch’egli è stato per qualche ora,come avrebbe fatto di uno sconosciuto. E l’argomento è degno di studio, infatti, almeno quanto una qualunque delle così dette malattie mentali, anche se se l’ebbrezza non è che una malattia di poche ore, e di guarigione sicura…
Insomma per l’autore di Cuore la successione continua degli stati d’animo, anzi della coscienza, sono un ottimo studio della natura umana. Anche se gli ultimi dati Istat fotografano il popolo italiano ancora capace di godere bevendo (ma sarà vino?), certamente la comprensione del nostro cervello, intreccio di cellule ed emozioni (con buona pace dei più seri studi delle neuroscienze), che non è la coscienza, è giornalmente soggetto a continue successione di sentimenti. O siamo tutti ubriachi in questa società?
Ma sentiamo ancora De Amicis. Per lui il primo effetto della ipotizzata sbornia con amici fa sì che la nostra percezione è così lucida, la parola così facile, la voce così ricca… A ben pensarci tutto questo è lontano dalla nostra ubriacatura: ubriacatura mediatica,ubriacatura di noi consumatori di tutto…
A dire il vero anche il nostro si rende conto che dopo i primi gradevoli effetti del vino il vetro rosato a traverso al quale vedevamo il mondo, scompare; tutte le cose ripigliano per un momento il loro aspetto reale, tutti i pensieri molesti ritornano in folla, e siamo quasi sopraffatti da un senso di sgomento.
Noi che oggi viviamo nella paura e che abbiamo paura della paura forse siamo sopraffatti più che dallo sgomento da una indifferenza verso vari aspetti della realtà. Ma saggiamente il nostro autore nel suo libretto afferma che Questi sono gli effetti generali. Ma il vino produce un’ebbrezza diversa, non solo secondo i temperamenti e i caratteri; ma secondo la disposizione d’animo particolare,in cui ci troviamo nel riceverlo.
Ebbene noi che ci ubriachiamo spesso di frasi fatte, di stereotipi, di bei pensieri ai quali spesso non segue un’azione coerente (chi nega a parole che la differenza è un valore?) dovremmo forse ammirare di più il quasi coetaneo di Edmondo de Amicis quel tale Collodi, il quale non trattò di vino ma pare che lo amasse molto.
E Lorenzini-Collodi al di là delle analisi ci fece e ci fa ben comprendere che siamo tutti Pinocchi non per le bugie ma per come alla fine del romanzo (rileggiamolo bene) dovremmo essere capaci di prenderci cura di qualcosa.
Un trattatello misconosciuto del vino può essere una miniera (pardon una botte) di idee… Stappiamole e in geniali convivi con amici.
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