Caro Nereo, sei diventato mio paziente da poco e tra noi due è scaturita una simpatia reciproca tanto da considerarci amici. Mi ha colpito la tua apertura di cuore e la tua presenza di spirito e vivacità mentale nel ricordare gli episodi significativi della tua vita, nonostante i tuoi ottantaquattro anni. Soprattutto sono veramente curioso di conoscere i particolari della tua esperienza della guerra quando io non ero ancora nato. Penso che quei ricordi non debbano andare dispersi per non dimenticare il grande dono della pace e del benessere che seguirono alla fine della guerra. Oggi dimentichi del dono della pace, non la conserviamo più come un dono prezioso da coltivare nel nostro cuore nella Grazia di Dio, ma la diamo per scontata accettando i nostri peccati indifferentemente e così continuano e si estendono sempre più i conflitti, complici sempre la nostra mancanza di pace del cuore che viene dalla Grazia del Signore. Senza contare ora la conflittualità esasperata nella nostra nazione in un momento generale di difficoltà che richiede mai come prima la pace, la solidarietà e fratellanza.
Un giorno ti ho invitato in un bar a prendere un gelato assieme per raccontarmi un po’ della tua vita avventurosa e non perdere la memoria di giorni che segnarono un’epoca ma che già le mie generazioni stentano a ricordare: “Avevo una bella famiglia eravamo quattro fratelli, io ero il maggiore di tutti e ci volevamo molto bene, vivevamo a Milano dignitosamente. Un giorno arrivò la cartolina della chiamata per il servizio militare era circa il ‘44 e fui destinato in Piemonte come telegrafista assieme a cinque altri mie compagni. Seguimmo un breve corso di radiotelegrafisti, e così subito dopo eravamo impegnati a mantenere le comunicazioni delle linee tedesche che ormai stavano ritirandosi verso il nord. Un giorno sentendo che per i tedeschi le cose volgevano al peggio ed erano sbarcati già gli americani, decidemmo di fuggire. Fu una fuga piena di insidie, vennero bloccate tutte le strade e fummo ricercati per diversi giorni come disertori ma noi anche grazie a chi conosceva i luoghi e alla popolazione rurale a noi favorevole seguivamo sentieri di montagna e di campagna per evitare i controlli, arrivammo così alle linee partigiane ove fummo fatti prigionieri e inviati a Napoli ai comandi alleati. Qui fummo consegnati agli americani che per la verità non ci trattarono male.
“Allego una delle lettere che inviai dalla prigione: ‘22-5-‘45. Genitori carissimi, invio la mia seconda lettera assicurandovi la mia ottima salute, vorrei sperare che sia anche di voi tutti. Il mio pensiero è sempre rivolto a voi tutti e vi sarò vicino spiritualmente fino a che non tornerò fra voi per continuare la pace serena famigliare, interrotta dalla bufera che ha travagliato tante anime umane travolgendole nella sofferenza. Non importa quello che si è sofferto, l’essenziale che tutto sia finito e speriamo che dopo la fine torni la vera pace. Spero che il mio ritorno sia prestissimo e per ora vi raccomando di non stare in pensiero per me. Mi raccomando di rispondere subito con lettera all’indirizzo qui sotto, facendomi … qualche cosa. Baci e abbracci a tutti”.
“Ecco dopo neanche un mese fummo liberati. Tornai a Milano dove mi fidanzai e mi sposai e trovai lavoro presso la tipografia dove lavorava mio padre”.
Così Nereo ha condotto una vita normale, di onesto lavoratore, ha lavorato sino a sessantacinque anni e poi è venuto a godere la pensione a Laveno con una casa vicino al porto, col cuore sempre in pace con sé stesso, con il Signore e con il prossimo, memore sempre delle conseguenze di morte e di sofferenza della guerra vissuta.
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