È uscito il libro “Dimmi perché parti” (Edizioni Deste) scritto da Gianni Spartà. Sarà presentato sabato 24 giugno alle 17.30 alla Ubik di piazza del Podestà a Varese. Ecco qui di seguito il prologo dell’autore e la prefazione di Vincenzo Nibali
Da mattina a sera. D’estate e d’inverno. Da soli o in compagnia. Siamo sempre in viaggio, filosoficamente parlando la vita è questa. Poi ci sono i trasferimenti veri e propri e oggi va di moda utilizzare il corpo: i piedi per pedalare o camminare, le mani per issare una vela e prendere il vento. L’alternativa è un trolley da tirarsi appresso salendo su un aereo. Domanda: dimmi perché parti. Dieci le risposte palesi, cento quelle intime.
L’idea di questo libro non mi è venuta quando bighellonavo per i continenti sfruttando quelli che nei giornali si chiamano educational. In pratica inviti di qualche Ufficio del Turismo interessato a far parlare di una meta, di una nazione, delle sue bellezze monumentali e naturali. Nessun obbligo di dirne bene per l’ospitato, ma un’aspettativa nell’ospitante sì: siamo sinceri.
No, a questo libro, che non è un manuale, ho pensato da una sella di bicicletta da corsa mentre, in nove tappe, andavo nella Sicilia natia avendo in mente lo Stretto; in cinque a Parigi scavalcando il Sempione; in sette dalla Toscana alle Marche, coast to coast attraverso l’Italia più bella. Il pensiero è diventato desiderio di narrare quando, a piedi, ho raggiunto Finisterre, cioè la fine del mondo, partito da Santiago de Compostela; quando, sempre con zaino, racchette e scarponi, ho percorso un tratto di via Francigena fino a Roma; e quando, con mare prima calmo poi forza quattro, ho pregato Dio di toccare terra a Cefalonia su una barca a vela, salpato da Siracusa.
Ho imparato di più camminando e pedalando che intervistando industriali, ministri, criminali e monsignori nella mia carriera di cronista. Ho accumulato più conoscenza incontrando viandanti che consultando documenti per scrivere la biografia di personaggi entrati nella storia. Viaggiare è un infallibile antitarme per conservare pulito il cervello. Da giovani cambiare aria è utile, da meno giovani è umile. «Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita». Me lo disse Rita Levi Montalcini che si è goduta 103 primavere.
Prefazione di VINCENZO NIBALI
Mi capita, quando torno in albergo dopo un allenamento o una gara, di pensare a che cosa rappresenta davvero la bicicletta. Per un corridore, si capisce, è come una chiave a stella per un meccanico: un ferro del mestiere, oltre che il simbolo di una passione, di una capacità di fare. Per me è qualcosa di più. Passano le stagioni, ma la bicicletta continua ad avere lo stesso sapore di quando ero ragazzino. Ancora oggi, mi bastano un paio di pedalate per provare le stesse sensazioni di sempre. Per me, la bici è conoscenza e soprattutto libertà. Libertà di andare su o giù, a destra o a sinistra, di star fermo o di lanciarmi a tutta velocità.
Non mi piacevano molto i giochi di squadra, la bici mi aveva conquistato. La usavo per divertirmi con i miei cugini e per aiutare i miei genitori che lavorano nel negozio di famiglia. Mi occupavo di fare le consegne: portavo ai fotografi di Messina e dintorni le immagini che avevano fatto sviluppare dal nostro laboratorio. Pedalavo e scoprivo nuovi confini. Il mondo diventava sempre più grande e questo invece di spaventarmi mi dava l’enorme sensazione di essere libero. Libero di scoprire, guardare il mare, salire al monte, girare e ricominciare da capo. La bici mi ha aiutato a conoscere il limite e a superarlo e, così come allora, continua a farlo.
Questo libro è stato scritto da un messinese come me, lui solo di nascita. Mi ha raccontato di avermi visto per la prima volta una ventina d’anni fa mentre mi allenavo sui Colli San Rizzo, il più bel balcone sullo Stretto, pedalando appresso alla Vespa guidata da un trainer. Con Gianni Spartà, che in Sicilia trascorre le vacanze, c’era uno che mi conosceva. Gli disse: «Vedi quello è Nibali, una speranza del nostro ciclismo». Lui restò scettico e lo posso capire. Abita e lavora a Varese, la terra natale di Alfredo Binda, il campionissimo, e di Luigi Ganna, il vincitore del primo Giro d’Italia. Non bastasse, in quella provincia del profondo Nord sono nati Claudio Chiappucci, Stefano Garzelli, Stefano Zanini.
Se con le mie vittorie al Giro, al Tour, alla Vuelta, non ho deluso il mio conterraneo sono felice. E sono certo lo sia anche lui che Messina ce l’ha nel sangue. Ne è prova la prevalenza della Sicilia nei viaggi che l’autore descrive tradendo una sorta di fuoco nascosto, un senso di appartenenza mai rinnegato.
In questo libro non ci sono solo i diari della bicicletta di uno scrittore curioso e di un cicloturista appassionato. Ci sono altre storie di “prima del motore”: viaggi a piedi, con racchette e zaino, traversate in mare, col vento nelle vele. L’uomo è andato con una navicella sulla Luna per vedere l’effetto che fa, una donna ha trascorso mesi nello spazio infinito immaginando l’Eterno, una sonda ha esplorato il nuovo mondo di Marte. Ma il gusto di usare la fatica per muoversi continua ad avere un fascino senza eguali.
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