Sarò breve. La legge sulla fine della vita (preferisco usare il femminile, perché penso che la morte non sia lo scopo della vita), che è stata approvata dalla camera in aprile e dovrà essere discussa in Senato – chissà quando – non obbligherà nessuno a chiedere che gli vengano sospesi i trattamenti sanitari, l’alimentazione e l’idratazione. Chi vuole essere mantenuto in vita con tutti i mezzi possibili, finché il suo fisico riesce a resistere, sarà libero di farlo. Anzi, se non si esprimerà, sarà proprio questo il trattamento che riceverà, mentre non potrà accadere il contrario. Dunque, le polemiche che regolarmente si scatenano ogni volta che si tocca l’ argomento non hanno, a mio avviso, alcun senso, né logico né giuridico.
Potrei concludere qui, non ci sarebbe altro da dire. Ma, poiché in genere tutti coloro che esordiscono promettendo, come me, di essere brevi poi in realtà si dilungano più del necessario, non voglio sottrarmi alle buone usanze ed aggiungerò anch’io qualche considerazione.
Indro Montanelli una volta scrisse: ”Non ho paura della morte, ho paura di morire”. Ecco, anch’io. Ho paura di quel cammino di sofferenza che i progressi della scienza medica rendono sempre più lungo, ma non più lieve. Temo quella strada con un unico sbocco, senza uscite laterali o possibilità di inversioni ad U. Temo l’assurdità di un intervento sanitario che – consapevolmente – non conduce alla guarigione o al miglioramento, ma solo al prolungamento dell’agonia. Ho il terrore di perdere la facoltà di decidere ciò che altri possono fare del mio corpo e della mia vita, di diventare nelle loro mani un oggetto privo di dignità. Perciò vorrei potermi esprimere finché ho ancora integre le mie capacità di intendere e di volere, affinché nessuno, poi, prenda decisioni al posto mio.
So bene che il problema è complesso, che non riguarda solo i vecchi con il fisico compromesso dagli insulti delle malattie, ma anche i giovani, per i quali si può sperare nell’esito favorevole di nuove ricerche scientifiche o – per il credente – in un miracolo. Mi rendo conto che riguarda anche i minori e gli incapaci, per i quali altri potrebbero prendere la decisione che l’interessato non vorrebbe. Ma in questo caso la legge prevede che sia il giudice tutelare ad esprimersi, onde evitare che ci siano prevaricazioni.
In tutti gli altri casi, la libera decisione di un individuo sulla fine della propria vita non danneggia nessun altro. E non obbliga nessun altro a seguire il suo esempio.
E, per quanto riguarda il medico, è vero che giura di “perseguire la difesa della vita” (della vita, appunto, non della sopravvivenza), ma giura anche di perseguire “il sollievo della sofferenza” e di “astenersi dall’ ’accanimento’ diagnostico e terapeutico”. Si potrà spaccare il capello in quattro per decidere se alimentazione e idratazione siano o non siano terapie, ma la sostanza non cambia: una persona inevitabilmente avviata alla morte deve poter decidere di farlo dignitosamente. La morte è parte della vita e il diritto alla vita comporta necessariamente il diritto alla morte.
Purtroppo il nostro Parlamento si sta avvitando da mesi sulla legge elettorale e i problemi fondamentali degli esseri umani passano in secondo piano. Probabilmente neanche questa legislatura riuscirà a risolvere la questione, per la gioia di coloro che vogliono imporre a tutti la loro ideologia.
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