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Società

RIDARE SPERANZA AI GIOVANI

ROMOLO VITELLI - 24/02/2012

 Nell’ultimo trimestre 2011 l’Istat ha certificato un calo del PIL del nostro Paese dello 0,7 rispetto al trimestre precedente. Un dato che fa partire il 2012 con una “penalizzazione” di circa mezzo punto su base annua. L’Italia è quindi in una fase di recessione tecnica, ma non è certo l’unico Paese in sofferenza, anche la Germania è in frenata. Sia in Eurolandia che in Europa a ventisette il PIL dell’ultimo trimestre 2011 è in calo. La Commissione Ue, che il 23 presenterà le previsioni economiche, fa sapere che per vedere la ripresa nel 2012, si dovrà probabilmente aspettare più del previsto. Sul fronte del nostro debito pubblico Bankitalia ha pubblicato gli ultimi, preoccupanti dati. Lo stock accumulato è aumentato di cinquantacinque miliardi nel 2011. Queste cifre di per sé ci parlano di un’Europa in grande difficoltà e di un’Italia che non riesce ad assicurare un’occupazione stabile ai propri figli. Il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, intervenendo alla commissione Bilancio della Camera dei Deputati, ha tracciato un quadro allarmante sulla situazione occupazionale italiana. Secondo il dottor Giovannini l’occupazione giovanile, per quanto riguarda i primi 9 mesi del 2011, ha subito una diminuzione del 2,5%.

Nel concreto, circa ottantamila giovani, d’età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, sono senza lavoro. Giovannini ha precisato che l’Italia è seconda solo alla Spagna per il non invidiabile record riguardante i giovani d’età compresa tra i quindici ed i ventiquattro anni: per la categoria in questione, infatti, il tasso di disoccupazione è del 31%. E’ noto ormai che l’Italia non è solo Paese d’immigrazione, ma è tornata ad essere anche luogo di espatrio per ragioni di lavoro. Infatti nel corso degli ultimi anni sempre più giovani laureati, anche dalla provincia di Varese, hanno preso la via dell’estero per protesta nei confronti di un Paese che dopo averli formati, non è stato in grado di valorizzare adeguatamente il loro capitale umano.

Il filosofo Galimberti nel suo libro “Il viandante della filosofia,” dice che la fascia d’età che va dai quindici ai trent’anni è un’età molto importante perché in quel periodo si riscontra il massimo della forza biologica e i giovani sono tali perché sono più forti dei vecchi. Nel giovane c’è in quell’età il massimo della forza procreativa. I giovani, disoccupati come sono, non possono procreare fino a ai trenta o trentacinque anni, con gravi problemi della questione demografica e dello sviluppo economico sociale della nostra società, però hanno anche il massimo della forza ideativa. Allora una società che prescinde da loro è una società che è destinata a finire. E aggiunge: “Forse l’Occidente non sparirà per l’inarrestabilità dei processi migratori, conto cui tutti urlano, ma per non aver dato senso ed identità, e quindi per aver sprecato le giovani generazioni”; e questo le forze sane del Paese non devono permetterlo. Più che mai l’Italia deve puntare sulle nuove generazioni, vera risorsa strategica per la crescita. Nessun cambiamento è realizzabile senza il loro contributo, e del resto le cronache recenti testimoniano il ritrovato desiderio di partecipazione dei nostri giovani. Essi infatti, dopo una fase di insoddisfazione latente, sono entrati nella stagione della consapevolezza e della critica e pongono con i loro movimenti una forte esigenza di cambiamento a tutta la società italiana e a tutte le forze politiche del nostro Paese.

La grave crisi che attraversa l’Europa in genere è la conseguenza del doppio fallimento della politica e del mercato. In un’Europa in cui le leggi di mercato dominano l’economia, e quindi la politica, la recente crisi economica ha avuto l’effetto di destabilizzare la già fragile Unione. Per questo le istituzioni devono ritrovare la capacità di definire progetti e interventi che orientino l’economia in questo Terzo Millennio. Le forze democratiche di centro-sinistra debbono raccogliere la spin­ta che viene dalla società e darle voce. Siamo in una fase di transizione, dove tanti giovani che fino ad oggi sono stati defraudati del loro futuro chiedono alla politica di ridare loro una speranza, che essa ritorni a coniugare i verbi al futuro. Ma ciò impone a tutti i partiti di misurarsi con questa richiesta e con questo evento positivo, rinnovando la classe dirigente e la politica a tutti i livelli. Siamo di fronte a una svolta profonda che chiede ai leader di sapersi mettere in discussione, fare un passo indietro, affidando il compito a nuovi dirigenti, con nuovi volti, al passo con i tempi, e in grado di dirigere e rappresentare questa fase nuova.

A questo punto si impongono un paio di quesiti: è possibile riformare la politica e rinnovare la classe dirigente del nostro Paese? E con quali programmi? Il rinnovamento della classe dirigente è un’annosa que­stione che ha alimentato fiumi di dibattiti, il “Manifesto dei futuristi,” nel 1909, proclamò la necessità, in un mondo ormai in rapida evoluzione, di un’élite giovane, dinamica: “Quando avremo quaranta anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino”. Ma neppure Marinetti, che lo aveva scritto, pensò sul serio di farsi da parte: in Italia non ci sono mai state simboliche uccisioni dei padri (solo dei fratelli, ricordava Saba), figuriamoci padri che si uccidono da soli. Il professor Carlo Carboni, autore del libro “Elite e classi dirigenti in Italia,” dice che “la classe dirigente italiana è vecchia, mediocre e attaccata al potere, e tali caratteristiche si sono accresciute nell’ultimo decennio. Se nel 1998 le nostre élite presentavano una maggioranza relativa di cinquantenni, nel 2004 sono i sessantenni – e anche i settantenni – ad esserlo. Come a dire: nessun ricambio, il che significa nessuna reale concorrenza, nessuna selezione”.

Il Presidente Monti bloccando le spinte alla bancarotta del nostro Paese, ha ridato slancio, prestigio e ruoli nel contesto internazionale all’Italia, ma ora bisogna avere il coraggio di introdurre tutte le riforme profonde e strutturali che in venti anni non sono state fatte e che invece possono liberare le energie del Paese e ridargli una speranza. Il Pd ha fatto la scelta coraggiosa di appoggiare il governo Monti e con questo ha dimostrato di saper anteporre l’interesse della nazione a quella del partito, ma ora di fronte ai mutamenti epocali e globali che caratterizzano i tempi in cui viviamo, poiché il destino dell’Italia non è separabile da quello dell’Europa, deve andare oltre nell’elaborazione e spingere le forze democratiche di centro-sinistra – come detto Reichlin qualche giorno fa: “ a rialzare la testa rimettendo in gioco non solo la potenza economica del vecchio continente, ma il suo potenziale di civiltà: che poi è la civiltà del lavoro e delle libertà umane”.

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