Il fenomeno Juve – che tale rimane anche se ridimensionato dalla finale di Champions – merita, sicuramente, un approfondimento; diremmo, in termini medici, una radiografia total body e questo non solo perché sei scudetti rappresentano pur sempre un record ma anche, e soprattutto, per la linearità nei tempi dei successi.
Cos’è che “provoca” il tutto? Una lava incandescente che bolle per dare corso a una sicura quasi interminabile eruzione?
E il mettersi in moto la potenza quasi continua a quali forze va imputata?
Spostiamoci allora dai riferimenti sismici o giù di lì per passare a quel che ci interessa cioè all’esame della macchina bianconera e chi e che cosa la mette in moto e la guida verso i traguardi di un mezzo perfetto.
Parrebbe utile, infatti, esaminare i punti più significativi dei suoi primati.
Nella conseguente graduazione viene logico subito mettere alla vetta di tutto la forza di una società solida sotto ogni aspetto e con grande capacità organizzativa.
Ma forse non sarebbe esatto. Sulla società – si diceva – non si discute ma a qualcuno come persona fisica dovrà pur essere attribuita l’esattezza dei singoli “movimenti”.
E allora diciamo chiaro non c’è dubbio che gli impulsi più significativi e fruttuosi siano stati quelli da imputare a Beppe Marotta.
Tutto il plauso, quindi, per il valore sociale ma un altro ancor più forte alle scelte tecniche del Dt, scelte che, certamente, non si sono espresse solo nell’individuare campioni l’uno dopo l’altro da inserire nell’organico bianconero ma nei movimenti da una squadra all’altra nel rimpiazzare anche i partiti con vantaggi economici.
Tutte queste sono le situazioni che sotto il profilo rigorosamente tecnico fanno la forza della squadra.
Ovvio che il discorso si sposti poi su un altro campo. Quello dell’economica potenza della società che ha consentito i prelievi dalle relative squadre dei gioielli più pregiati.
Così come non può certo considerarsi merito di Marotta l’acquisto di un già più che consacrato Dibala, o di un Cuadrado o di un Higuain.
La mossa giusta è quella, invece, di sostituire gli altri ceduti (con fior di plusvalenza, leccandosi i baffi) senza minimamente indebolire la squadra.
Questo è il merito più consistente di Marotta e, ovviamente, del suo bravissimo entourage.
Di qui la necessità di mettere sul capo del Dt la preziosa corona e assegnargli lo scettro del comando
Il resto è conseguenza importante se si vuole ma sempre conseguenza, così come i giocatori e il gioco, così l’opera dell’allenatore la cui definizione, assegnatagli dal Dt, di migliore d’Italia, non ci ha mai trovati d’accordo.
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