“Il mondo in cui viviamo – è convinzione più volte ribadita da Papa Francesco -, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola ‘Sinodo’. Camminare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”.
La sinodalità, così ben praticata al Convegno, è un modo di essere, di esprimersi, di incontrarsi, in cui si vive gli uni per altri, si cerca il bene altrui come il proprio, si fa a gara nello stimarsi a vicenda, per farne lo stile di vita da offrire come speranza al cammino degli uomini.
Ogni assemblea liturgica è un sinodo, ogni riunione di consiglio pastorale, ogni preghiera comunitaria, ogni incontro di catechismo, ogni momento di confronto e di dialogo.
Guardando in faccia la realtà, si notano ricchezze e difficoltà nel procedere insieme: laici, pastori e vescovi.
La “sinodalità” – sostiene mons. Galantino, segretario generale della CEI – comporta due profili: la prospettiva della concretezza, dove si intrecciano insieme il coraggio del proporre, l’intelligenza del ricercare e del capire, la cura dell’ascolto, la fatica dell’operare, la pazienza dell’attesa, la creatività del costruire; e la prospettiva dell’alleanza, dove l’incontro e la comunicazione profonda con l’altro diventa strada di continua umanizzazione.
A tale riguardo vanno precisate alcune caratteristiche di base del lavorare insieme: promuovere idee, riflettere, dare a ciascuno la possibilità di parlare, darsi il tempo per l’ascolto paziente e il confronto schietto, mettere insieme le idee e le proposte.
A Firenze ci si è confrontati per molte ore per imparare a fare discernimento. L’esercizio ha seguito precisi criteri: la verità, ossia il non avere paura di guardare la realtà delle nostre Chiese, dei nostri territori, della società in cui viviamo; la complessità, cioè la bella fatica di cogliere la pluralità di elementi che concorrono a determinare la realtà, lontano da banali semplificazioni; la speranza, vale a dire il leggere la realtà nella sua complessità nella consapevolezza credente che lo Spirito è all’opera; la progettualità, che è tensione pratica a diffondere il bene.
Una “scuola di metodo” per la Chiesa italiana.
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