Tornano le rondini e i loro stridii sulla fascia dorata dell’orizzonte, mentre la sera avanza tiepida di promesse estive. Come oggi, anche allora era questo il momento più bello della nuova stagione; e noi ce lo godevamo in campagna, quando ci si trasferiva armi e bagagli nella casa dei nonni, col suo enorme giardino da godere fino a che le lucciole non decretavano la notte. Tutto il giorno a giocare forsennatamente, quasi per recuperare la libertà compressa nelle quattro stanze cittadine; e la vera magia si svelava nel crepuscolo, ancora godibile nella semi oscurità. Mi bastava in quell’ora, una palla e un muro, nient’altro, nemmeno l’amichetta del cuore. E via con le filastrocche, in una sfida con me stessa per arrivare alla perfezione, alla medaglia d’oro del gioco del Rinoceronte. Che faceva così:
Rinoceronte / che passa sotto il ponte /Che salta, che balla / che gioca alla palla / Che fa i complimenti / che sta sull’attenti/ Che dice buongiorno / girandosi attorno/ Gira e rigira / la testa mi gira/ Candela / Zigo zago/ ginocchioni…/ Non ne posso più / palla pallina cadimi giù.
A ogni rima un gesto e un movimento: salto, ballo, battimani, giravolta, e altre acrobazie del genere. E il muro, accondiscendente, restituiva la pallina nelle tua mani, a patto che la tua mira e la tua velocità fossero adeguate. Poi scoccava il richiamo della cena: È prontoooo.
Ma se la notte era calda, e i grandi chiudevano un occhio, il gioco continuava nel buio del prato. E il muro, questa volta, diventava lo schermo delle nostre ombre, mostruosamente dilatate dai fari delle auto – rare! – che passavano lungo la statale; ombre che noi fratelli, dimenandoci e sbracciandoci, facevamo a gara a rendere più spaventose, magari con qualche urlo appropriato. Finché, sudati fradici e ridendo come pazzi, non ci rassegnavamo a rientrare in casa, dove la nonna scuoteva la testa mormorando “Ma cosa mai penseranno i vicini!”.
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