Nell’icona della Trinità di Rublev le tre persone divine sono sedute al tavolo, guardandosi in faccia. Le teste chine del Figlio e dello Spirito, che sono rivolte verso il Padre, esprimono una attenta riverenza per colui che è come loro, ma anche personalmente unico.
La loro apertura reciproca non li rinchiude in se stessi, ma li apre ad una comunione condivisa con chi guarda l’immagine.
Il quarto posto a tavola è sul lato dello spettatore, che è invitato non soltanto a condividere il pasto, ma anche ad entrare in maniera più intima nella presenza dei tre ed a partecipare alla gioia della comunione di vita.
Anche nelle nostre famiglie, chiamate ad essere icone viventi dell’amore trinitario, è possibile riscoprire il dono della presenza reale in casa nell’offerta di sé, pagando di persona, per il bene, la gioia, la vita l’uno dell’altro.
La scelta di stare con una persona dice: “Sei degno del mio tempo. Stare con te è bello perché tu sei bello”. Più profondamente questa scelta di vita comune esprime un amore preferenziale, pronto a tutto: “Sei la persona più importante per me in questo momento. Sei più importante degli amici, degli affari, dei miei hobbies”.
Il susseguirsi di tanti di questi momenti diventa garanzia d’amore, base di un vincolo profondo, che col tempo si rafforza, nonostante le prove, gli insuccessi, gli alti e bassi della vita.
Anche lo sguardo tra persone care ha un grande significato e importanza: esprime meraviglia e stupore, gioia di poter condividere momenti diversi della vita in un incontro che coinvolge tutta la persona.
Del resto è con lo sguardo che ogni madre comunica a suo figlio la bontà della sua persona, risvegliando il bambino alla realtà di essere amato. Anche con lo sguardo di ammirazione e di affetto, dunque, si trasmette in famiglia la bellezza che si vede nell’altro.
Oltre alla vista, la presenza si affida all’udito, o meglio all’ascolto. Anche l’iconografia tradizionale, che penso sia nota a molti, rispecchia l’importanza di vedere e di sentire: le persone dipinte nelle icone, infatti, hanno occhi e orecchie grandi, ma la bocca, di solito, è piccola.
I due discepoli di Emmaus, dopo aver ascoltato lungamente la spiegazione di Gesù sui passi biblici che lo riguardavano, l’hanno riconosciuto al vederlo spezzare il pane: in quel gesto in cui si sintetizza tutto l’amore che l’ha portato a pagare di persona la nostra liberazione, anche noi impariamo a fare altrettanto.
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