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II caso politico-costituzionale del referendum voluto dal presidente Maroni sulla cosiddetta “autonomia regionale” è meno conosciuto e dibattuto di quanto non meriti. Gli slogan la fanno da padroni e la confusione è tanta. Utile puntualizzare citando i testi.
Il quesito è il seguente:“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Infatti, l’articolo 116 della Costituzione recita: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia… possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata…”.
Da notare che questa norma non era toccata in una sola virgola dalla riforma costituzionale bocciata dal referendum del 4 dicembre, anzi ne usciva rafforzata per i ripetuti riferimenti alla Regioni virtuose.
Insomma, il quesito del referendum chiede esattamente ai cittadini lombardi se vogliono che la Costituzione sia attuata. Certo che sì, visto che la Lombardia è una delle poche Regioni che se lo possono permettere avendo sempre avuto i conti in regola. E allora perché spendere circa 50 milioni di euro per uno stravagante referendum dall’esito scontato di cui non c’è alcun bisogno?
Le ragioni principali di Maroni sono due. Una è propagandistica e, in pratica, di facile auto-assoluzione: “Avremmo voluto fare di più ma lo Stato non ci ha dato i mezzi necessari”. La seconda nasconde un “trucco”. Quando parla liberamente lui lascia intendere che, se passa il Sì al referendum, molta parte delle tasse pagate dai lombardi rimarranno in Regione. Ma nessuna percentuale è definibile in astratto senza un progetto che precisi quali competenze e spese affronta la Lombardia anziché lo Stato. La Costituzione a questo proposito è chiarissima e, per la mancanza di un progetto, si è già accumulato un clamoroso ritardo.
La Regione si metta dunque intorno al tavolo con il governo nazionale e tratti la questione in modo serio. II governo non può esimersi da questo impegno costituzionale e infatti ha già dichiarato la sua piena disponibilità. Questo procedimento era già stato attuato nel 2007 con una deliberazione quasi unanime del Consiglio regionale (avevo fatto io la difficile dichiarazione di voto a nome dell’Ulivo con il dissenso di alcuni consiglieri della sinistra). Non si è avuto poi nessun seguito essenzialmente per la gravissima crisi finanziaria di quegli anni, divenuta poi crisi politica.
Ora quella piattaforma non è più attuale ed un’altra deve essere approntata su pochi temi strategici per il nostro sviluppo tra cui territorio, ambiente, lavoro, beni culturali. Alcune proposte sono già sul tavolo e l’opposizione è pronta a collaborare. Questa operazione non comporta nessun cambiamento dello Statuto che non per nulla porta il titolo di “Statuto d’Autonomia della Lombardia”.
Senza questo lavoro preparatorio il referendum sarebbe solo una dispendiosa mossa demagogica che avrebbe peraltro l’effetto di ritardare l’autonomia già possibile fin d’ora. Alla fine voterei Si solo per non lasciare in mano alla Lega una bandiera che molti di noi hanno il pieno diritto di sventolare.
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