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Chiesa

ASCOLTARE E FARE

EDOARDO ZIN - 02/06/2017

bassettiNon ho mai amato le tifoserie che, in occasioni di importanti nomine episcopali, parteggiano per l’uno o per l’altro dei candidati. Le totonomine vanno bene per una panchina da stadio, ma non per chi deve divenire “sposo della Chiesa”. Come pure non credo allo spazio geometrico che si attribuisce a questo o a quel vescovo (“è di sinistra”, “è di destra”…).

Non ho seguito questa consuetudine in occasione della nomina a presidente della Conferenza Episcopale del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, scelto da Papa Francesco tra la “terna” presentatagli dai vescovi. Non sono stati gli atti inusuali con cui Francesco aveva già dimostrato stima e predilezione per questo padre nella Fede – la sua elezione al cardinalato, pur non essendo Bassetti titolare di una diocesi da molti anni non più cardinalizia e il procrastinare il suo servizio episcopale otre i 75 anni – a farmi derogare da questa regola, quanto piuttosto lo stile pastorale che ebbi modo di conoscere quando il neo – presidente era vescovo di Massa Carrara nonché per l’ambiente in cui il suo stile maturò.

Anni fa ascoltai un’ omelia di Bassetti in occasione della cresima di un nipote di mio fratello: di lui ascoltai, più che le parole, gli sguardi, i gesti, l’anima, accompagnato da quell’accento toscano che coniuga frizzi e argutezza. Parlava senza nascondersi dietro le ampollosità per comprendere le quali occorre fare un’esegesi: era semplice, ma non superficiale, e dava risposte chiare alle domande che sgorgavano spontanee dai cuori dei presenti. Il suo colloquiare era mite, disarmante.

Terminato il rito, monsignor Bassetti si fermò sul sagrato della chiesa per salutare, ascoltare, incontrare i presenti. Si avvicinò anche a me e, quando seppe che ero nativo di Vicenza, fece un gesto di giubilo e mi ricordò che il cardinale Elia Dalla Costa, mio conterraneo (mia mamma, sua parrocchiana, lo venerava come un santo!), era stato l’arcivescovo della sua giovinezza. La conversazione si estese allora sulle persone e sullo spirito che avevano animato la bella stagione ecclesiale fiorentina dal dopoguerra fino al Concilio: Giorgio La Pira, don Divo Barsotti, monsignor Bartoletti, monsignor Agresti, don Bensi, don Giulio Facibene, don Milani, padre Balducci, Mario Gozzini, Carlo Betocchi. Compresi che il vescovo che avevo avanti era egli stesso figlio di quella stagione tendente, più che a conservare la Fede, a sentirla come una buona notizia da diffondere.

Il nuovo presidente dei vescovi italiani ha dichiarato di non avere programmi, piani. Si è definito un “improvvisatore”, il contrario del “calcolatore”, perché preferisce dare ascolto più al cuore che all’intelletto. Si sente come il “due di briscola”, come il piccolo Davide che lotta contro il gigante Golia, ma conta sulla vicinanza dei confratelli vescovi. Sa di essere al crepuscolo della sua vita, ma per esperienza personale ha provato che il tramonto è una cosa bellissima perché è il preludio di un nuovo giorno.

Ho accolto perciò la nomina di Bassetti come un respiro nuovo di cui la Chiesa italiana – si badi bene, la Chiesa, cioè tutto il popolo di Dio – ha bisogno. Dopo l’immagine di una Chiesa che negli ultimi decenni è apparsa come una comunità che aveva paura del mondo e perciò si arroccava in una cittadella per guardare dall’alto il mondo per giudicarlo peccatore come Sodoma, ecco l’uomo che guiderà i suoi confratelli non all’esclusione, ma al dialogo, non alla condanna, ma all’ascolto, non all’ostilità, ma alla tolleranza.

Dopo anni in cui si era abituati a fare l’analisi sociologica di una società italiana che si allontanava sempre di più da Dio e, quindi, dall’uomo; dopo anni in cui ci si affaticava a trovare l’ermeneutica del Concilio, piuttosto che a recepirlo; dopo anni in cui ci si riempiva la bocca di parole come “comunione”, “condivisione”, “sinodalità” senza che in pratica poco o niente cambiasse, dopo anni di progetti culturali che sono serviti solo a produrre documenti da mettere in archivio, ecco il vescovo che, come il buon samaritano, scende dal trono, esce dall’episcopio, si mette a capo del suo gregge e invita tutti gli operai del Vangelo a prendere la mano di chi soffre per metterla nelle loro mani, senza dirgli niente, stando solo a lui vicino, donandogli la loro presenza.

È questo stile che la Chiesa italiana, sull’esempio di Bassetti e dei vescovi, dovrà dare vita: “cercare la Verità nella dolcezza della compagnia degli uomini” (Alberto Magno), fare delle parrocchie degli spazi aperti a tutti, invitare i cristiani a non disertare i luoghi in cui Dio li ha posti: la famiglia, la scuola, il lavoro o la professione, la vita sociale e politica, la città, il quartiere, non per desiderio di asservimento, ma per dare a esse un senso. In tal modo la Chiesa non cambia, ma si converte perché coglie e interviene sui segni di questo tempo, attraverso cui Dio si manifesta. Diventa “ospedale da campo” – secondo la lucida espressione di Francesco – in cui si curano i feriti più gravi (e Bassetti ricorda volentieri in proposito don Mazzolari che definiva la Chiesa un’ “ambulanza”!), diventa la rete del pescatore Pietro che pesca l’uomo scartato soprattutto nelle periferie dimenticate.

Durante la conferenza stampa, che è seguita all’annuncio della sua nomina, Bassetti ha dimostrato di voler improntare a questo stile l’azione di tutta la Chiesa italiana.

Ha indicato in una Chiesa povera e per i poveri l’impegno predominante: ha ricordato coloro che mancano di beni necessari, ma anche quelli che sono fragili perché privi d’amore, di giustizia, di riconoscimento: i disoccupati a cui è tolta la dignità del lavoro, i profughi ai quali occorre offrire una prima accoglienza solidale e le condizioni per integrarsi perché “sono liberi di partire, liberi di restare”, i terremotati per i quali è di primaria importanza affrettare gli interventi per l’abitazione e per la creazione di centri d’aggregazione sociale al fine di salvare il senso di appartenenza ad una comunità.

Ha ricordato i giovani con le loro esigenze di studio e di lavoro, ai quali nessuno deve rubare la speranza per un futuro migliore, l’importanza educativa degli oratori parrocchiali, quale strumento culturale, sociale, oltre che pastorale.

Qualcuno ha cercato di abbindolare il cardinale, cercando di condurlo nel tranello della politica, delle questioni bio-etiche, della famiglia. Bassetti è stato chiaro: “Il grido dei vescovi per difendere la famiglia non è stato ascoltato, ma non desideriamo che la Fede del popolo italiano perda la propria identità con manifestazioni che possono diventare un’ulteriore disgregazione: sull’eutanasia l’ultima parola spetta al medico, noi non diamo assistenza, ma vicinanza, amicizia, affetto; l’ “Amoris laetitia” è magistero di tutta la Chiesa: i principi in essa contenuti non vogliono omologare, ma lasciano spazio ad un discernimento sulla situazione concreta che la coppia ferita si trova ad affrontare; la Chiesa dialoga con tutti, ma distingue tra la Politica che guarda al bene comune e quella di piccolo cabotaggio.

Bassetti è il “pastore con l’odore delle pecore” addosso e aiuterà tutti i suoi confratelli vescovi a condurre la Chiesa italiana “ad abitare in un territorio di pace, in abitazioni sicure, in quieti luoghi di riposo” (Isaia).

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