Ora che i redditi dei ministri sono trasparenti (come i pensionati al minimo), non sembri fuori luogo mantener viva l’attenzione sui privilegi di cui godono in special modo i parlamentari. Se ne lamentano tutti. Hanno ragione? Sì, che hanno ragione. Moltissimi lavoratori, alla vigilia della sospirata pensione, hanno appreso che in virtù della recente legge di riforma, dovranno rimandare l’uscita al compimento del sessantasettesimo anno; diversamente da senatori e deputati, i quali hanno il privilegio, l’ennesimo, di andare in pensione (e che pensione!) molto prima. Non è giusto, come non è giusto che molti di loro, pur avendo abbondantemente superato quella soglia, conservino il diritto di rimandare la pensione a chissà quando. Tra parentesi, ce ne sono due che continuano a riscuotere lo stipendio da parlamentare, pur lavorando in esclusiva da avvocati, ventiquattro ore su ventiquattro. Per rispetto della privacy nessuna menzione, solo nomi di fantasia: Ghedini e Longo.
Poi ci sono anche quelli che, pur avendo superato i sessantasette anni, restano incollati allo scranno. Eccoli in fila, in rigoroso ordine alfabetico, dando la precedenza ai senatori: Ciarrapico, Longo, Marini, Pera, Pisanu, Tomassini e Treu. Ed ecco i deputati: Binetti, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brancher, Carra, Cazzola, Cicchitto, Colombo, Guzzanti, Mannino, Martino, Parisi, Pecorella e Pezzotta. Almeno questo privilegio andrebbe soppresso, c’è bisogno di aria nuova. Gli attempati di Palazzo Madama e di Montecitorio si degnino di menare le tolle.
Ma non basta svecchiare, e forse neppure equo: c’è qualche attempato che bagna il naso a tanti giovani. Consigliabile, piuttosto, decimare i parlamentari, che sono troppi e costano troppo: su questo sembrano concordare anche i partiti. In teoria, però. In pratica basterebbe escludere i pregiudicati, i sotto processo e gli inquisiti. O no?
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