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Politica

FRATELLO MACRON

EDOARDO ZIN - 26/05/2017

macron“Non mi lascio prendere dalla trappola del voto utile! Voterò Marine!” – dice l’elegante signora, mentre sorseggia la migliore tazza di cioccolata da “Angelina” in rue de Rivoli, a Parigi. “I lavoratori ormai sono sottomessi ai potenti di Davos!” – sussurra a un compagno l’operaio che sale in metropolitana da una stazione della periferia. “Oggi, il progetto di Macron è la predella del Fronte Nazionale” – scrive su “La France” Hamon, il leader dei socialisti. “Emmanuel Macron è un candidato senza progetto perché è senza convinzione: cambia discorso a seconda della platea.” – proclama dagli schermi televisivi Bruno Le Maire, deputato repubblicano ultra-conservatore. “Tra i due mali, occorre scegliere il minore…” – divulga il giovane universitario che scende dal Pantheon. “Voterò Macron perché è un socialista che vuole abbattere le diseguaglianze sociali con una politica economica liberale.” – afferma deciso un signore che si gode un tiepido solicello su una panchina dei giardini del Lussemburgo.

C’è aria di vigilia oggi, venerdì precedente le elezioni, a Parigi. Domenica i francesi sceglieranno il loro settimo Presidente della quinta Repubblica inauguratasi nel 1958 con l’ascesa del generale De Gaulle eletto a suffragio ristretto e investito di ampi poteri. Per la prima volta al ballottaggio non si presenteranno due candidati che sono gli eredi degli ex-gollisti repubblicani Pompidou, Giscard d’Estaing, Chirac e Sarkozy e dei due socialisti Mitterand e Hollande. Un volto nuovo: Emmanuel Macron, giovane rampante, liberale in economia, ex ministro socialista, europeista, che si dichiara centrista e Marine Le Pen, erede della destra estrema, nazionalista, antieuropea, islamofoba, che piace ai populisti e ai ceti sociali più indigenti, non più rappresentati dai partiti tradizionali, si affronteranno davanti agli schermi.

Mercoledì scorso c’era stato tra i due un dibattito brutale e aggressivo, spesso disordinato, a cui i francesi non sono abituati. Uno scontro fra interruzioni, sorrisetti e insinuazioni: Marine si proclamava la paladina del popolo, Macron si richiamava allo spirito repubblicano francese; la prima cavalcava l’ossessione del terrorismo e dell’immigrazione, chiedeva maggiore sicurezza, assicurava che, una volta eletta, la Francia sarebbe uscita dall’euro; il giovane ex- ministro l’accusava di incompetenza e di infattibilità del suo programma. Presto, dal confronto si passò alla rissa.

Nella tarda notte di domenica successiva si conoscono i risultati: Macron è eletto presidente col 66.10% e la Le Pen si deve accontentare del 33.90%. Si sono recati alle urne il 77.50% dei francesi, (quasi un quarto della popolazione non si è presentata ai seggi: la percentuale più alta dopo il 1969!) e si contano quasi due milioni e mezzo di schede bianche e quasi ottocentomila di schede nulle. Prime considerazioni: è la fine dei partiti politici tradizionali; ai francesi piace il populismo, ma preferiscono l’Europa; per Macron la battaglia è appena incominciata perché alle prossime elezioni legislative di giugno dovrà assicurarsi un solido apporto all’Assemblea Nazionale e, in autunno, al Senato: molto dipenderà da quanti candidati del vecchio centro – sinistra e del tormentato centro – destra riuscirà ad attrarre nelle sue fila (già il primo ministro uscente Vals ha chiesto di aderire al nuovo movimento centrista, ottenendo un fermo rifiuto da parte di Macron!), ma non mancheranno coloro che sono pronti a salire sul carro del vincitore; sinistra e destra sono diventate mere etichette di fronte alla complessità e novità della rivoluzione tecnologica, dell’urbanizzazione, del degrado delle periferie, della concorrenza sempre più aspra, dell’ampiezza del fenomeno migratorio, dal terrorismo e dal cambiamento climatico, ma soprattutto dalla metamorfosi delle classi sociali: la maggior parte di esse ha cessato di credere alla loro emancipazione attraverso le battaglie sindacali, altre si sono alleate con il piccolo, medio imprenditore nazionalista e protezionista contro gli immigrati percepiti come dei rivali, altre, rassegnate, si sono ritirate dalla politica lasciando ad altri le sorti di decidere al loro posto e il Fronte Nazionale si situa volentieri sul terreno un tempo da loro occupato.

Il movimento “En Marche”, ideato da Macron, viene definito di centro – sinistra. Faccio fatica a comprendere questa definizione: mi ricorda la definizione di centro di Francois Mitterand (“il centro non è di sinistra, né…di sinistra!”) e per il momento il nuovo movimento non è né di destra…né di destra, anche se il centrista Bayrou (rappresentante di un partito che si richiama al vecchio centrismo popolare della quarta repubblica !) incomincia già a battere i pugni sul tavolo perché pretende una solida rappresentanza del suo partito nel governo che Macron si appresta a formare.

Il neo – presidente centrista vara l’esecutivo e affida l’incarico di primo ministro ad un conservatore (si può ancora dire così?), Edouard Philippe, che a Le Havre, di cui è stato un apprezzato sindaco, ha svolto un’azione amministrativa volta a scartare le diseguaglianze sociali e aggregando la città non in base a posizioni ideologiche, ma a problemi risolti. A un altro uomo della “destra”, Bruno Le Maire, viene affidato l’importante incarico dell’economia: è competente ed è un uomo apprezzato dai cattolici perché è stato l’unico deputato a astenersi al momento del voto del “mariage pour tous”, nonostante le indicazioni contrarie del suo partito. A Gérald Darmanin, sindaco di Tourcoing, comune vicino a Lille, nel Nord, repubblicano, viene assegnato il ministero delle finanze. Ai socialisti (sinistra) vengono affidati i dicasteri degli esteri (che dovrà “sovrintendere” anche a quello degli affari europei affidato alla centrista Marielle de Sarnez): Macron affida questo incarico a Jean-Yves Le Drian, che nel governo Hollande era apprezzato ministro della Difesa, e gli Interni al sindaco di Lione, Gérard Collomb. Ai centristi vanno pure la Giustizia (Francois Bayrou, cattolico, altro sindaco – di Pau, nei Pirenei atlantici – già ministro dell’educazione nazionale nei governi Chirac e Sarkozy) e la Difesa, che viene diretto da Sylvie Goulard, di Marsiglia, già collaboratrice di Prodi alla Commissione, coautrice con Monti di un bel saggio sulla democrazia in Europa, eurodeputata, europeista convinta, in Italia nota per aver guidato a Strasburgo la fronda contro l’ingresso nel gruppo parlamentare liberal-democratico del Movimento 5 stelle.

In un momento di dure prove che investono anche la Francia, Macron affronta le sfide includendo nel suo governo politici competenti provenienti da molte parti politiche – che fino a poco tempo addietro l’avevano sferzato – e affidando incarichi ministeriali a ben cinque sindaci che hanno dimostrato di saper bene amministrare le città: sarebbe possibile questo anche nel nostro paese? Il governo Macron non è un “inciucio” all’italiana, dove ciascuno viene ripagato in base alla “quota” versata, ma lo definirei un “governo di buona volontà” che vuole gestire insieme il bene comune, il che implica che ciascun partecipante sia tenuto a fare determinate cose e a evitarne altre.

Nel frattempo, il nuovo Movimento è al lavoro per selezionare i 428 candidati che si presenteranno alle prossime legislative del 18 giugno: già ventiquattro deputati socialisti hanno aderito al programma di Macron, a cui si devono aggiungere altri repubblicani di destra (già cacciati dal loro vecchio partito!) che si uniscono alla pattuglia dei ministri nominati da Macron. L’opposizione sarà forte e Macron ha bisogno di una forte maggioranza: i suoi fedelissimi li stanno trovando tra i deputati uscenti, tra novizi della politica, tra sconosciuti uomini d’affari, tra personalità della società civile.

Spero che nella società della globalizzazione, fondata sull’efficienza e tentata dall’efficientismo, il nuovo governo francese non sopravvaluti il ruolo e l’importanza dell’economia e del mercato e eviti ogni chiusura nazionalistica, ma sia espressione della “fratellanza” nata dalla rivoluzione francese, segno di solidarietà e di condivisione. Macron ha ottenuto un grande successo: ha saputo “unire”, non “dividere”. Dovrebbe essere un impegno etico di ogni politico. Occorre, ora, che passi dal successo all’etica della Politica, capace di irrorare anche le radici avvizzite dell’Europa.

Nel frattempo il nuovo movimento è al lavoro per scovare i 428 candidati

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