Saffie Rose Roussos è una bambina di otto anni, una bambina dal viso vispo e sorridente, come tante coetanee.
Saffie è entrata nella Storia legando tristemente l’immagine di un bel faccino pulito alla strage di Manchester. La sua foto, fissata per sempre alla data del 22 maggio 2017, sfila già tra le tante destinate a ricordare, in perpetuo, questo terribile attentato.
Un altro cimitero di foto aggiuntosi -lo sterminato elenco delle vittime e delle stragi lo conoscete- a partire da quello delle Twins del settembre 2001.
C’era anche lei al concerto di Ariana Grande, dove era stata accompagnata per ascoltare la sua cantante e la sua musica preferite. Nessuno di quelli che le volevano bene poteva prevedere che ben altra musica l’avrebbe accolta, nell’insidia vigliacca e malefica, progettata a tavolino da forze votate al male, attuata da un giovane kamikaze persuaso allo sterminio: al punto di farsi saltare per distruggere quante più vite possibile. Non sappiamo ancora dire esattamente quante, mentre scriviamo, ma sono centinaia le vittime, tra giovani e bambini uccisi o feriti, prevedibilmente in modo invalidante.
L’attesa felice di Saffie ė stata tradita e uccisa con lei: sognava quel concerto da molti giorni, di sicuro ne aveva parlato con le compagne, persino con le bambole-amiche custodite nella cameretta colorata. Ha invece incontrato, anziché quella di Ariana, la faccia torva della morte. E al posto dell’autografo ha avuto in dono lo sfregio assoluto del corpicino martirizzato dai chiodi esplosi dalla bomba.
Abbiamo più volte citato, su queste pagine, le morti degl’innocenti: ogni giornale ha scritto, e non può non continuare a scrivere, di troppi piccoli incolpevoli, sacrificati nella macchia nera dell’odio che s’allarga al mondo e alla quotidianità.
Ma non vogliamo abituarci a queste notizie; uccidere giovani e bambini significa uccidere ogni speranza. La speranza.
Abbiamo visto -e continuiamo a vedere- fotografie incancellabili di ieri e di oggi. E quanti occhi di bambini ancora prigionieri? Dietro i fili spinati, nei lager contemporanei, nel disastro del Nepal, nelle miniere dove si scava per i ricchi, nelle baracche delle peggiori periferie, nei centri di raccolta, nelle città accerchiate, umiliate e sfinite dalle guerre alimentate dai loro signori.
Ora è toccato a te, piccola Saffie Rose.
I tuoi occhi di bambina serena inseguivano il ritmo di una musica.
Come è accaduto, e perché tanto odio?
E perché, proverà a dire qualcuno -come sempre si sente dire-, perché i giornalisti scrivono tanto di te, forse non sanno che ogni giorno molti altri bambini sono vittime di violenze e sofferenze nel mondo?
Nel nostro piccolo impegno, anche da queste pagine libere, chi ci legge lo sa, s’è parlato spesso delle vittime innocenti, di Aylan, morto bocconi sulla spiaggia, dei bambini siriani prigionieri nelle città accerchiate dalla guerra, senza scuola, senza viveri, senza giocattoli né medicine, e si è parlato anche degli innocenti abbandonati sui cavalcavia dei nostri civili paesi.
Non ci stancheremo mai di farlo.
Non mi stanco. Perché, quando penso e parlo di loro, mi sento prima di tutto mamma e nonna.
E so bene che se chiedete a una bambina di non importa quale paese del mondo di farvi un disegno, quasi sicuramente vi sottoporrà il disegno coloratissimo di una famiglia felice, la sua famiglia. Con una mamma e un papà, e accanto, un fratellino, magari non ancora nato, ma che lei vorrebbe tanto poter tenere un giorno tra le sue braccia.
Ecco perché, piccola Saffie, si doveva scrivere di te.
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