Il XXI secolo sta diventando maggiorenne. Ma abbiamo festeggiato solo da poco l’inizio degli anni Duemila e già dobbiamo accorgerci che il mondo sta profondamente cambiando. Abbiamo affrontato e non ancora superato una crisi economica devastante, abbiamo visto crescere in maniera esponenziale l’importanza dell’automazione e della connessione, abbiamo assistito a profondi scossoni politici come la decisione britannica di uscire dall’Unione europea e l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Nei paesi occidentali cresce la rilevanza politica dei movimenti populisti sull’onda di un disagio sociale in parte sicuramente reale, per le crescenti disuguaglianze e per l’estendersi dell’area della povertà, ma in parte altrettanto sicuramente amplificato dall’acritica cassa di risonanza dei mezzi di comunicazione.
L’età del cambiamento diventa per molti aspetti l’età dell’incertezza, un’età in cui alle trasformazioni sociali si accompagna la difficoltà di trovare una bussola che indichi la direzione e un filo d’Arianna che aiuti a superare gli ostacoli e a trovare le soluzioni migliori.
Ma oltre alla bussola e al filo d’Arianna c’è la necessità sempre più evidente di comprendere la realtà, di avere un’immagine precisa e non strumentale di quanto avviene e delle cose realmente importanti nel sistema economico e sociale. In questa prospettiva sarà particolarmente interessante lunedì 29 maggio l’assemblea dell’Unione degli industriali della Provincia di Varese, un’assemblea che come tradizione aiuterà a fare il punto sullo stato dell’arte dell’economia locale.
Si può sommariamente dire che l’industria varesina si trova di fronte a quattro sfide particolarmente rilevanti, sfide che si aggiungono ovviamente a quella connaturata all’essere impresa, cioè la sfida del mercato.
La prima sfida è quella di smentire il luogo comune del post-industriale. La realtà varesina non ha la dimensione manifatturiera solo nel proprio passato, ma anche nel presente e in gran parte nel futuro. Certo, le industrie di oggi non sono più le grandi fabbriche, ma c’è un tessuto di piccole e medie imprese altamente dinamico e competitivo. È questa una realtà in cui le capacità dell’imprenditore si realizzano in forte sintonia con i propri collaboratori e in un rapporto costruttivo con il territorio.
La seconda sfida è quella di coniugare tradizione e innovazione. L’impresa è sempre più una realtà dinamica capace di cogliere le opportunità modificando gradualmente le proprie logiche organizzative e produttive. E può garantirsi un futuro solo mantenendo alta l’asticella della qualità.
La terza sfida è quella della collaborazione. La competizione non va vissuta solo come un confronto con le imprese simili e vicine, ma come un gioco in campo aperto tra sistemi-paese. In un mercato ormai globale le potenzialità operative delle piccole imprese possono esprimersi solo unendo gli sforzi, utilizzando servizi comuni, mettendosi in rete, allagando gli orizzonti della propria attività.
La quarta sfida è quella della rappresentanza, una sfida che deriva direttamente dalle prime tre. In un momento in cui appaiono in difficoltà le tradizionali forme associative (iniziando dai partiti ed arrivando ai sindacati e alle associazioni imprenditoriali) la dimensione locale assume ancora maggiore importanza. Per sfruttare le occasioni come le attività promozionali e di conoscenza, come quell’economia circolare che può far diventare una risorsa quello che tradizionalmente è uno scarto, come le iniziative di welfare aziendale che segnano un nuovo obiettivo di motivazione e di partecipazione dei lavoratori.
La realtà varesina ha già dimostrato di avere la massa critica e la capacità imprenditoriale necessaria per mantenere la rotta e per raggiungere nuovi traguardi. Nonostante i ritardi, le complicazioni, gli oneri di un Paese che si ostina a parlare d’altro rispetto ai veri problemi dell’economia, problemi che, non dimentichiamolo, sono il presente e l’avvenire di ogni persona.
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