Con la fine della Prima Repubblica e connesso sfascio dei partiti tradizionali non poco sono mutati protagonisti e luoghi e relative frequentazioni della politica.
È cronaca degli ultimi decenni come in una sorta di orgia della libertà e di presunta democrazia il rinnovamento, annunciato come un grande futuro nazionale, abbia portato a situazioni alle quali oggi possiamo fare riferimento come a veri e propri fallimenti.
Dopo i ribaltoni sessattottini, in un clima che avrebbe permesso più ragionate valutazioni, ci sono stati assestamenti di valori che di fatto non hanno giovato a una comunità nazionale per di più coinvolta nelle pesanti problematiche delle varie crisi mondiali. Riassunte nel termine globalizzazione per quanto riguarda economia e finanza con relative ricadute sulla società civile.
Con lavoro, famiglia e scuola in difficoltà la politica ci ha fatto conoscere la fragilità del suo nuovo corso, l’allergia italica alla coerenza,la portata del fenomeno della corruzione perfezionatosi dal tempo in cui, 20 secoli or sono, eravamo padroni del mondo.
Ci sono nostri popoli non esenti ma meno inclini alle deviazioni in presenza di particolari situazioni. La gente di casa nostra per esempio nei rapporti con la politica mostra barometro in genere stabile,ci sono sostanziali mutamenti di linea solo dopo lunghi periodi, intrapresi poi con una notevole prudenza di fondo.
La stessa politica aveva sempre tenuto conto delle caratteristiche dell’elettorato varesino, ma da pochi anni ha fatto nuovi piccoli primi passi, significativi se rapportati alla tradizione.
Con la vicenda della casa di riposo Molina e con il salto di corsia in Consiglio comunale, abbiamo avuto indizi di un inizio di trasformazione della politica cittadina in un minivalico di frontiera. Un valico ignorato per una valanga di anni e violato – avevamo professionalmente noi cronisti i calzoni corti – da un giovanissimo Ovidio Cazzola, architetto progressista “bianco” sin dalla nascita oggi, come tale e come un vero innamorato di Varese, premiato dai rotariani e stimato e rispettato dall’intera città. Che tanti anni prima aveva comunque accolto con serena curiosità la sua scelta.
Ricordo che Ovidio passò al Movimento Politico dei Lavoratori: la sua avventura non ebbe lungo corso, fu però testimonianza di personalità e coraggio che lo avrebbero visto sempre combattere negli anni successivi la buona battaglia per la sua Varese.
Nella Prima Repubblica anche a livello nazionale ci furono raramente passaggi da un campo all’altro, il dissenso nei partiti c’era, ma rimaneva contenuto e addirittura aveva una sua funzione di verifica in ordine a scelte difficili.
Tra i più importanti cambi di bandiera ci fu quello di un dc come Mario Melloni, espulso dal partito e diventato un raffinato divertimento nazionale per l’intera classe media, per gli imprenditori intelligenti e anche per i giornalisti “borghesi”.Tutto accadde quando con lo pseudonimo Fortebraccio l’eccezionale collega cominciò a scrivere corsivi al cianuro sulla prima pagina dell’Unità, lo storico giornale di un partito comunista allora ancora rotella del temibile ingranaggio staliniano. Il corsivo di Fortebraccio e una bella pagina culturale in quegli anni fecero dell’Unità una vera attrattiva nel panorama della stampa nazionale.
Oggi da sinistra vengono proposte che a volte hanno picchi inattesi negli scalfariani approfondimenti teologici. Mentre la classe operaia è da tempo nella sala d’attesa del paradiso.
A Varese Palazzo Estense ci ha dato serene e dialettiche presenze in tutti i partiti, con l’eccezione di uno “straniero”, ricco di nostalgie di un passato non accettabile, che riusciva a creare forti tensioni. Situazioni alle quali le opposizioni in precedenza avevano sempre dato contenuti degni dell’istituzione e del servizio alla città.
Oggi l’”emigrazione” da poli opposti della politica anche da noi ha preso corpo.
Con la guida del Molina, acquisita con l’indicazione statutaria rispettata dal Centrodestra, abbiamo avuto una lista civica che è passata dall’altra parte al momento delle elezioni; altri movimenti li abbiamo avuti, è cronaca fresca, grazie a consiglieri che se ne sono andati o che hanno cambiato cavallo.
Sarà forse giusto che chi non si ritrova cambi, ma questi movimenti nella sostanza non raccolgono consensi, soprattutto perché pensiamo a quello che succede a Roma, sede fissa di un mercato deprimente sotto forma di aiuto a governi con maggioranze che a volte per certi aspetti poco hanno di nobile.
Abbiamo inoltre un Parlamento che è approdo di salvezza per chi ha avuto problemi con la giustizia e si continua a svilirlo con i tentativi di arruolamento di personaggi politicamente discutibili perché più interessati alle vicende personali che non a quelle della comunità nazionale.
A Varese oggi a cambiare bandiera ci sono persone per bene che evidentemente si attendevano molto e meglio dall’impegno per il servizio civico.
Più razionale appare però la scelta di chi, una volta eletto e non soddisfatto, ha deciso di lasciare l’incarico. Ha avuto rispetto per chi lo ha votato. Scelta non da poco nell’Italia della Seconda Repubblica. E nella Varese che ha una grande tradizione di coerenza.
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