(O) Il Direttore propone un’editoriale sulla “Lettera alla città” dei cristiani di Varese e sembra accettare l’idea che Varese sia, o almeno fosse nel 1967, una specie di ‘Arca di Noè’, secondo una battuta di Aldo Moro, citata dall’onorevole Zamberletti.
(C) È una metafora azzeccata. Nell’antichità, la città nasce come luogo di difesa comune e in forza di questo accoglie e sviluppa altre funzioni comuni: il tempio, il tribunale, la scuola, il mercato, i luoghi di lavoro degli artigiani, i simboli della comunità e del potere. Diventa una ‘communio’, il luogo di un ‘munus’, una difesa ed un compito condiviso. In questo, nonostante costruisca delle mura difensive e apparentemente si chiuda in se stessa, interagisce con la sua campagna, non in contrapposizione o in regime di sfruttamento, ma per una valorizzazione reciproca. Sempre che la città sia ben governata.
(O) Come illustra simbolicamente l’affresco del Buon Governo del Palazzo comunale di Siena.
(C) Esattamente. È quello che sottintende la ‘Lettera’. Ciò che chiedono i cristiani di Varese alla città non è l’attuazione di un proprio programma politico-sociale, ma un’attenzione speciale alla persona come fine ultimo della convivenza civile e per questo indicano nel lavoro, nell’educazione e nell’accoglienza tre punti maggiormente rilevanti. C’è però qualcosa che viene prima, che forse poteva essere espresso più energicamente, la condivisione di relazioni stabili di stima reciproca, di ricerca di obiettivi comuni, quello che con una parola un po’ fredda e usurata chiamiamo dialogo.
(S) Zamberletti ha anche osservato che il XXI secolo è ben diverso dal precedente, in quanto sono venute meno le aggregazioni orizzontali, segnatamente le parrocchie, i partiti e, aggiungo io, i sindacati, che proprio dagli anni sessanta fino ai novanta avevano nutrito l’ambizione di non essere solo rappresentanti di interessi specifici, ma cercavano, di rincalzo o talvolta in contrapposizione ai partiti, di farsi interpreti dell’interesse generale. Quindi l’ambizione che si pone la ‘Lettera’ è molto alta, forse eccessiva.
(O) Nessuna ambizione che si ponga come scopo il bene comune è eccessiva. Piuttosto bisogna avere il coraggio dell’identità, soprattutto oggi. Nemmeno tiro in ballo i problemi mondiali, visto che tra i grandi della terra, che dovrebbero avere come regola assoluta i tempi lunghi e la dimensione universale, regnano invece opportunismo, particolarismo e dipendenza patologica dal fatto dell’ultima ora, dalla breaking news. Quindi mi pongo due domande: chi sono, nel concreto i soggetti del dialogo, da una parte chi sono chi si definisce “Siamo i cristiani delle parrocchie varesine, i rappresentanti delle associazioni e dei movimenti ecclesiali” e dall’altra a quali “rappresentanti della società civile” ci si rivolge e se con questa espressione si ricomprendono anche i rappresentanti delle istituzioni.
(C) Non mi soffermerei su questioni di firme o di destinatari, i contenuti sono più importanti, benché non abbiano la pretesa di essere esaustivi; l’indicazione di tre sfide come argomenti principali non esclude la valutazione di altri bisogni o di proposte innovative, quello che non può mancare è l’assunzione di responsabilità e la concretezza nell’agire. L’Arca di Noè, di cui ha parlato Zamberletti, aveva avuto più di un costruttore. Ne voglio citare due, oltre a don Pigionatti, ricordato dall’onorevole: Monsignor Manfredini, prevosto dal 1963 al 1969 e Giovanni Borghi, cavaliere del lavoro, fondatore della Ignis. Posso dire, senza timore di esagerare, che se la città di Varese aveva fatto il suo salto qualitativo nel 1927, diventando capoluogo di provincia, soprattutto a loro due si deve se i varesini sono diventati davvero cittadini. Anche se ci sono state altre persone che anche in tempi diversi e antecedenti hanno vissuto e operato a Varese in molti campi con pieno merito, penso per esempio in quello della medicina, (ma non voglio fare nomi, per non incorrere in dimenticanze e meritarmi competenti censure); queste due figure, in singolare contemporaneità hanno inciso profondamente sulle persone e sulle strutture sociali con cui e per cui hanno lavorato, nella Chiesa locale l’uno e nell’industria e nello sport l’altro. Ancor più singolarmente, ambedue in quegli anni portarono il nome e l’esperienza di Varese ai rispettivi vertici mondiali, Manfredini partecipando al Concilio Vaticano II come uditore, tra i dieci parroci chiamati a rappresentare le parrocchie di tutto il mondo, Borghi con l’industria e con i titoli europei e mondiali conseguiti dai suoi atleti in diversi sport. Mi guardo bene dal rimarcare nostalgicamente che gli epigoni non hanno potuto mantenere a lungo lo stesso livello di performance: i tempi sono cambiati velocemente, molte opportunità sono svanite, altri poteri e altre attrattive danno forma alla vita quotidiana delle persone e hanno radicalmente cambiato le relazioni sociali. Queste novità costituiscono le sfide che la ‘Lettera’ indica come il campo del nuovo dialogo tra la Chiesa locale, particolarmente nelle sue componenti laicali, e i responsabili della società civile.
(S) Vorrei far notare una circostanza singolare, che certamente non facilita questa impresa: delle varie componenti istituzionali che distinguono una città anche piccola da un grosso borgo, a Varese ne manca una: è un centro di potere politico come capoluogo di provincia, ha il luogo privilegiato di produzione culturale, l’università, ha mantenuto alcune vetrine sportive di livello nazionale, la realtà economica è certamente rimpicciolita rispetto agli anni del boom, ma sussiste ancora e assicura benessere; continua a mancare, invece il centro di massima responsabilità e di piena sacerdotalità che è la diocesi. Con il massimo rispetto per le persone del Vicario zonale, del Prevosto e del Decano, una diocesi strutturata e un Vescovo, che esercita la pienezza del mandato sacerdotale e missionario, hanno ben altro impatto anche sulla società civile.
(C) Alt! Mi permetto di correggerti: stiamo parlando di dialogo, non di confronto. Per usare una celebre espressione di Papa Francesco, da me molto amata, non si tratta di contendere per assicurarsi il controllo di spazi di potere, ma di generare processi virtuosi nel tempo. Perciò, più che le istituzioni contano le persone, nel loro concreto agire. Il dialogo che i cristiani desiderano con la società civile si realizza essenzialmente partecipandovi ed esprimendo in essa convinzioni, proposte, attività, anche controversie e censure. Non immaginiamo di radunarci attorno ad un tavolo, metà ‘laici’ e metà ‘cattolici’ a dialogare come se fossimo ad un’improbabile conferenza di pace. Prima delle parole dovranno incrociarsi gli sguardi, puntandoli tutti nella direzione della realtà; a quel punto svaniranno i fantasmi delle ideologie pregresse e prenderanno luce sia i bisogni veri della gente, sia le soluzioni più semplici ed oneste. Non sarà facile, ma sperarlo e volerlo non costa niente.
(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi
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