Pensatore ungherese Lukács (1885-1971) si muove in gioventù nell’ambito etico-estetico mitteleuropeo fortemente impregnato di pessimismo. Soggiorna a Berlino (1909-1910) e a Heidelberg (dal 1912 sino allo scoppio della prima guerra mondiale). La cultura in cui si trova immerso è quella permeata dalla filosofia di Schopenhauer, di Nietzsche, di Kierkegaard, Dostojevskij e dalle ideologie pangermaniche.
Nelle prime raccolte di saggi è condensata un’estetica esistenziale. Nell’ Anima e le forme (1911) il chiaroscuro dell’esistenza si dissolve nella forma autentica del dramma. Vi compaiono temi romantici (la tensione assoluta della forma), moduli bergsoniani (l’alogicità del fluire della vita), motivi dell’ontologia esistenziale (l’inautenticità dell’esistenza col riscatto nella tragicità della morte dinanzi alla inattingibilità dell’essere). Già con Teoria del romanzo, saggio storico-filosofico sulle forme della grande epica (1916), rivela però la presenza del pensiero hegeliano (asse costante della sua speculazione a partire dal 1912), che gli consente di superare il precedente soggettivismo verso un visione dialettica della totalità dello sviluppo storico. La scissione tra io e mondo, tipica dell’epoca moderna, comporta il tentativo di una ricomposizione in una totalità irraggiungibile. L’eroe del romanzo è Don Chisciotte, che vive la scissione tra utopia e realtà senza riuscire a sanarla.
Con Storia della coscienza di classe (1923) Lukács istituisce un nesso tra Hegel e Marx. Centrale vi è la nozione di merce nell’analisi della società capitalistica e l’alienazione vi è interpretata in base al concetto di reificazione. La produzione della merce non reifica soltanto l’attività lavorativa, ma la coscienza stessa dell’operaio grazie alla catena di montaggio, alla ripetitività dei gesti, al meccanicismo, al tempo di lavoro quantificato e scandito sul ritmo delle fasi di lavorazione. Nella produzione l’operaio esegue e assiste, non decide, né agisce in senso proprio. Nell’intera società capitalistica ogni aspetto qualitativo è ridotto a quantità. L’operaio non può riappropriarsi di se stesso che trasformando il modo di produzione e la collocazione di classe deve diventare coscienza di classe. Lukács rifiuta il determinismo storico e il meccanicismo nel rapporto tra struttura e sovrastruttura. Distinguendo in Hegel tra sistema e metodo sostiene l’importanza del secondo, specie per le nozioni centrali di dialettica e totalità. La scienza borghese cristallizza la realtà, trasformandola in dati quantitativi ; il metodo dialettico invece considera lo stato di cose esistenti solo se ricondotto alla totalità, alla quale appartiene.
Nel 1919 Lukács partecipa all’esperienza fallimentare della Repubblica dei Consigli ungherese (protagonista Béla Kun). Da questo momento pensiero ed azione si intrecciano strettamente con le vicende del comunismo in Occidente e con il complesso e tormentato sviluppo del marxismo contemporaneo. Ma è duramente attaccato dall’ortodossia sovietica e socialdemocratica dell’Internazionale. A partire dagli anni Trenta si verifica in lui un profondo ripensamento teorico e politico.
La maturazione dell’estetica di Lukács avviene a partire dal suo soggiorno in Urss dopo la fuga dalla Germania nazista (essendo comunista ed ebreo). È ora in luce la sua categoria del realismo, che ben si esprime nell’Introduzione del 1945 ai Saggi sul realismo. Il marxismo vi è visto come umanesimo proletario, il cui scopo è di ristabilire nella vita stessa l’uomo totale. La creazione non si fonda né su una concezione naturalistica, né su un principio individuale. Categoria centrale, criterio fondamentale della concezione realistica è il tipo, cioè quella particolare sintesi che nel campo dei caratteri e in quello delle situazioni unisce organicamente il generico e l’individuale; in esso confluiscono e si fondono tutti i momenti determinanti, umanamente e socialmente essenziali, di un periodo storico. Il vero grande realismo riflette l’uomo completo e la società completa.
Nel rapporto tra Balzac e Zola il primo è preferito per la sua pienezza e il valore di arte borghese contenuta, il secondo è espressione del naturalismo. Il concetto di tipo è derivato dalla sociologia di Weber. Nell’opera c’è il superamento dell’estetica pura, un principio di arte saturo di momenti sociali, morali, umanistici. L’estetica prefigge all’arte il compito di illuminare e guidare l’umanità. Si deve cogliere un nesso con la politica nella prospettiva di costruzione di una cultura socialista e proletaria. Bisogna propugnare i nuovi sentimenti democratici, che portano alla liberazione e provengono da radici popolari, staccarsi dai legami delle false tradizioni reazionarie-conservatrici nel recupero del valore della grande letteratura borghese.
In Balzac e Tolstoi il pathos artistico è alimentato sempre dai patimenti più dolorosi del popolo, che determinano l’oggetto e l’orientamento del loro amore e del loro odio. Sono svalutati invece gli scrittori non realistici, Flaubert, Zola, Kafka, Proust, Joyce.
Nell’ultima fase della sua vita, che registra il ritiro dalla politica attiva, Lukács sviluppa la teoria genetica e materialistica del rispecchiamento, della mimesi nell’arte, con riferimenti artistici, filosofici e scientifici. L’attività artistica come un tutto si costituisce a unità molto più tardi della scienza. L’unità della sfera estetica e la differenziazione delle arti e dei generi non sono riconducibili a una aprioristica essenza dell’uomo, ma sono il prodotto storico e dialettico della molteplicità delle origini materiali dei fenomeni artistici e il rispecchiamento estetico è collegato direttamente con l’appercezione sensibile del mondo. Lukács sottolinea l’immanenza dell’arte nel mondo umano; l’arte è altrettanto immanente della scienza, ma nel rispecchiamento scientifico c’è una disantropomorfizzazione. La differenziazione in specie e sottospecie (arti, generi) è legata alla possibilità di affinamento e di sviluppo dei sensi umani. Si deve costruire un sistema delle arti tramite la deduzione delle forme dei momenti ricorrenti, costanti e relativamente stabili del rispecchiamento.
L’imitazione, la mimesi è un fatto elementare e universalmente diffuso di ogni essere organizzato superiore e della produzione artistica. Lukács si appunta sul passaggio dalle formazioni mimetiche ed evocative presenti nella vita quotidiana alla sfera estetica. Ci sono connessioni profonde tra magia, religione ed arte. La magia, rispetto alla religione, si presenta molto più ingenua, spontanea. Sono da rifiutare quelle forme d’arte d’avanguardia che cercano il ritorno alla immediatezza e quelle che affermano la pura astrattezza. È rigettata altresì ogni distinzione tra contenuto e forma, che irrigidisca il divenire dialettico dell’opera d’arte. Ci deve essere la ricostruzione prima della soggettività, non da intendersi come pura e che sfugge ad ogni formalismo, in quanto non può fare astrazione dal mondo oggettivo che la determina e dalla concretezza del rapporto fra soggetto e oggetto, in cui la posizione estetica si costituisce. Il realismo non è uno stile accanto a molti altri, ma è la caratteristica fondamentale dell’arte. Il carattere del rispecchiamento in genere e di quello estetico in particolare non è meccanico né fotografico.
Lukács illustra il dispiegamento storico dell’umanità verso il raggiungimento dell’autocoscienza, di cui l’arte è il modo di espressione più alto. L’arte ha un carattere cosmico. C’è tutta una vocazione a interpretare la realtà umana al di fuori delle sue forme alienate, costruendo così un mondo pienamente umanizzato, con un processo di catarsi o purificazione. In risalto è la necessità di una prospettiva di liberazione dal bisogno religioso.
Nella Prefazione alla traduzione italiana del 1967 di Storia e coscienza di classe Lukács riconoscerà di aver commesso l’errore di essere incorso in un eccesso hegeliano contrapponendo alla priorità della sfera economica la centralità metodologica della totalità. In Ontologia dell’essere sociale(1971) l’oggettivazione, e in particolare il lavoro, è considerata l’attività che, in condizioni non alienate, congiunge gli individui in una progettualità comune. Se il prodotto rispecchia la personalità del produttore, dà a questa personalità una dimensione sociale. Il prodotto è la realizzazione di un progetto collettivo.
Da citare del periodo più fecondo: Goethe e il suo tempo (1947), Thomas Mann e la tragedia dell’arte moderna (1949), Contributi alla storia dell’estetica (1953), Il romanzo storico (1955).
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