Quali sono gli stili-chiave suggeriti per una vita di Chiesa? «Lo stile del narrare, lo stile della condivisione, lo stile del servizio, lo stile del dialogo, lo stile della gioia, lo stile del dubbio, lo stile della speranza, lo stile del mettersi in gioco, lo stile dell’ascolto, lo stile empatico – hanno sottolineato molte voci a Firenze – a partire dallo stile di Gesù, ricco di tenerezza, non impositivo, capace di accostarsi alle persone e attivare processi».
L’accoglienza è l’atteggiamento a cui siamo tutti chiamati nei confronti degli altri, e in particolare delle persone più fragili.
Vi sono tante forme di fragilità, oggi, che richiedono attiva attenzione: quelle dei bambini e degli anziani, ad esempio; quelle di coloro che hanno perso il lavoro e, in generale, dei poveri; quelle degli immigrati, alla ricerca di quel futuro che nelle loro terre di origine è loro negato; quelle di chi vive un disorientamento psicologico ed esistenziale; quella, insomma, di tutti coloro che sono messi ai margini di un mondo che è impietoso nei confronti di chi non si uniforma alle proprie strutture economiche e sociali.
Ma fare i conti con questo non significa limitarsi al gesto – pur importantissimo – del dare: bisogna far emergere la dignità delle persone, bisogna metterle in grado di sentirsi utili, di poter restituire qualcosa di ciò che hanno ricevuto. Una relazione buona, un’accoglienza vera, non sono semplice assistenzialismo.
Accogliere significa anche, sempre, accompagnare e fare alleanza. Sostenere le persone che hanno bisogno di noi; accompagnarle nelle difficoltà, nella malattia, anche nella morte. E tutto questo nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni. Qualcuno ha proposto, nel concreto, una “pastorale del condominio”.
“Sogniamo una chiesa beata, al passo con gli ultimi – sono alcune delle conclusioni del Convegno di Firenze –; una chiesa che sa mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite [Evangelii Gaudium, 198]; “periferie” che, aiutate attraverso percorsi di accoglienza e autonomizzazione, possano diventare centro, e quindi soggetti e non destinatari di pastorale e testimonianza”.
“Sogniamo una chiesa capace di abitare in umiltà, che, ripartendo da uno studio dei bisogni del proprio territorio e dalle buone prassi già in atto, avvii percorsi di condivisione e pastorale, valorizzando gli ambienti quotidianamente abitati, ognuna nel proprio spazio-tempo specifico e rendendo così ciascuno destinatario e soggetto di formazione e missione [Evangelii Gaudium, 119-121]”
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