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Cambiano i volti degli attori, resta la musica dei film. E non di rado i film si ricordano anche per le musiche. Parliamo di un famoso autore di colonne sonore cinematografiche del Novecento: John Barry (1933- 2011). La saga di James Bond in onda su Rai Movie, sembra non avere mai fine. Come è noto è il più grande e il più longevo serial tra quelli tuttora in attività. Non solo Sean Connery tra gli interpreti (da 1962 al 1967) perfetto per il ruolo, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista caratteriale: astuto, elegante, freddo, seducente, il quale, in seguito, temette di rimanere troppo imprigionato nel ruolo dell’agente 007 di Fleming e si diede ad altre interpretazioni filmiche.
Ecco allora avvicendarsi un lunare e melanconico George Lazenby, australiano in “Al servizio segreto di Sua Maestà”. Poi dal 1973-1985: Roger Moore. Dal 1987-1989: Timothy Dalton. Dal 1995-2002 uno scanzonato Pierce Brosnan. Infine l’algido, cupo e introverso Daniel Craig.
Cambiano i volti, dicevamo, ma resta la musica quasi fino alla sua morte: quella di John Barry, la cui seconda moglie è la famosa attrice anglo-francese Jane Birkin dalla quale ebbe una figlia: Kate fotografa di Vogue, morta suicida in tragiche circostanze. Durante la sua carriera Barry ha ricevuto ben cinque Oscar ed è noto per aver composto la colonna sonora di dodici film della serie di James Bond.
Ma la sua fama non è solo legata alla serie ispirata alle spy stories di Fleming, ma anche a grandi produzioni hollywoodiane di successo. Vedremo quali. Certamente è rimasta popolarissima la sigla di apertura di tutto il serial tratta da “Licenza di uccidere” (Dottor No) nel quale la sagoma nera di Bond è situata all’interno della canna di una pistola, con le chitarre arroventate seguite da trombe e altri fiati. È l’esemplificazione suprema di uno stile che miscela perfettamente elementi in apparenza inconciliabili: una chitarra elettrica quasi-surf dominante nel missaggio, uno swing da big band, armonie ossequiose della tradizione classica.
Quanto Barry fosse avanti all’epoca è evidenziato anche dal fatto che fu fra i primi (prima dei Beatles e di Lee Perry) a usare la sala di registrazione come uno strumento: il suono inconfondibile delle sue sezioni d’archi, la potenza fiati dalle code d’eco infinite erano in buona parte un prodotto della conformazione dello studio, ricavato da una chiesa, in cui registrava le sue orchestre. Con il magico mondo del cinema John Barry ha avuto a che fare fin da bambino. Suo padre era proprietario di una catena di sale nel nord dell’Inghilterra e Barry a malapena camminava quando iniziò ad aggirarsi per cabine di proiezione.
Quasi altrettanto precoce fu il suo approccio al pianoforte, che cominciò a studiare su spartiti di musica classica a nove anni. Poco più tardi, sotto la guida di Bill Russo, uno dei membri dell’orchestra di Stan Kenton, iniziò a confrontarsi con composizione, armonia e orchestrazione jazz. Nei primi anni ’50, mentre prestava servizio di leva, dapprima in Egitto, poi a Cipro, fondò con alcuni commilitoni un combo elettrico che sarebbe qualche tempo dopo divenuto famoso con il nome di John Barry Seven. Fu alla guida di questo complesso che per la prima volta cominciò a esercitare un’apprezzabile influenza sulla scena musicale inglese.
Etichettato, dal titolo di un album su Columbia del ’61, stringbeat, il particolarissimo suono dei “Johnny Barry Seven” fu una rivoluzione nel pop britannico pre-Beatlesiano. In esso gli arrangiamenti d’archi facevano da contorno alla sezione ritmica senza mai prevaricarla. Come nel rock’n’roll primigenio, basso e batteria restavano il centro di tutto. John Barry rivendica la piena dignità della musica da film, del sottolineare il climax di alcune scene. In un bell’articolo apparso alcuni mesi or sono su The Wire diceva: “La musica da film ha un suo peso specifico. Ciò che mi piace di più dello scrivere per il cinema è che una volta che il pubblico collega un motivo a un’azione drammatica lo ricorda per sempre. Ho amato da subito questo lavoro, non l’ho mai considerato un qualcosa di minore. Per farlo bene bisogna avere grandi qualità. Ci sono temi conduttori bellissimi, colonne sonore meravigliose. Se Wagner fosse vivo oggi, comporrebbe per il cinema”.
Non solo film sugli 007, però nella carriera di John Barry. E i cinque Oscar hollywoodiani stanno a dimostrarlo. La colonna sonora di “Nata libera” storia di una leonessa. Poi da “Il leone di inverno”, da “Robin e Marian” (con Sean Connery e Audrey Hepburn). In seguito, “L’uomo da marciapiede” sottolineato da un’ armonica struggentemente metropolitana, di “Ipcress”, di “Brivido caldo” di Lawrence Kasdan. Di “La mia Africa” di Sidney Pollack maestosa e indimenticabile che ben si sposa alla bellezza del paesaggio africano, di “Balla coi lupi” di Kevin Costner dove si respira la vastità ariosa delle praterie del Nord Dakota. E non li ho elencati tutti, ma la filmografia nella quale Barry ha collaborato musicalmente è pressoché vastissima. Alcune sue colonne sonore sono diventate anche canzoni di successo. È il caso di “Thunderball” (da “Operazione Tuono”) interpretata dalla possente voce di Tom Jones. “Si vive solo due volte” (“We only live twice”) cantata da Nancy Sinatra. “Diamonds are forever” (da “Una cascata di diamanti”) interpretata dalla brava Shirley Bassey.
Per non dire della suggestiva “We have all the time in the world” inserita in “Al servizio segreto di sua Maestà”, cantata e suonata con tromba da Louis Armostrong, che allora gravemente malato, di tempo davanti a sé ne aveva poco.
Una curiosità relativa al nostro paese. Ci fu un referendum nel 1995 per abrogare le norme che consentono un certo numero di interruzioni pubblicitarie sulle reti di Berlusconi, promosso dal Pds (oggi Pd). Mediaset fece passare uno spot leggendario dove scorrevano le immagini più belle di repertorio dei programmi delle reti accompagnate da questa stupenda canzone di John Barry interpretata da Armstrong. Nell’attimo stesso in cui doveva esserci in entrata il suggestivo e tanto atteso assolo di tromba del grande Satchmo a fare da intermezzo, la musica si interrompeva bruscamente dopo poche note, lo schermo diventava nero, lasciando un profondo senso di frustrazione nello spettatore-ascoltatore.
Bene, il referendum non passò, forse grazie a questa trovata. Potenza della musica!
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