Tra i tanti ricordi suscitati dalla recente scomparsa di Giancarlo Aloardi, per lungo tempo dirigente del PCI varesino, nonché consigliere regionale dal 1970 al 1980, mi è venuta in mente la storia del “bunker” di Viale Monterosa. La sede storica del partito, così definita non solo per la sua struttura in cemento armato ma, anche ironicamente, per l’idea di fortilizio assediato o di trincea che gli occupanti ispiravano ad amici e non.
La sede venne inaugurata il 21 maggio 1967. Una domenica, come ora, di cinquanta anni fa.
Per il grande evento era stato scelto un giorno festivo in modo da favorire la più ampia partecipazione di uomini e donne. In un primo tempo si era pensato al 1° maggio, ma i ritmi dei cantieri non rispettano quasi mai quelli dei committenti, tantomeno quelli della politica. Perciò si era reso necessario rinviare il taglio del nastro di qualche settimana.
Il sogno di avere una sede propria di partito, dignitosa e autosufficiente, era stato rincorso fin dai giorni successivi alla Liberazione, ma tutti i tentativi messi in atto, compreso l’acquisto della prima sede, una villa situata a metà di Via Staurenghi, ancora oggi esistente, occupata per circa un ventennio dal PCI, erano naufragati sempre per la stessa ragione: le scarse, anzi, scarsissime disponibilità economiche.
Il sogno diventa realtà quando Giancarlo Aloardi viene eletto segretario provinciale del partito (1963-1968). Come egli stesso ricorda in un bella testimonianza pubblicata nel volume “A zonzo nella memoria” (*) l’impresa fu tutt’altro che facile. Ma Aloardi non era uno che si arrendeva facilmente. Uomo di meticolosità certosina e dal carattere forte, come tanti altri coetanei che si erano formati in circostanze davvero eccezionali, già pochi mesi dopo il suo insediamento comincia a valutare ipotesi e proposte formulate da più parti. Tutte però, per ragioni diverse, si rivelano impraticabili, finché – tra maggio e giugno del 1964 – messi “gli occhi su un appezzamento di terreno sito a fianco dell’INAM (oggi ASL) in Via Monte Rosa, angolo Via Giuliani, in cui si trovava un piccolo chiosco-bar… decidemmo in gran segreto e in tempi brevissimi di contattare i proprietari e concludere l’acquisto. Fu così che, nel giro di pochi giorni, il 12 giugno 1964 sottoscrivemmo il preliminare consegnando al proprietario del terreno una caparra di tre milioni di lire”. Il dado era tratto. Non si poteva più tornare indietro. Infatti indietro non si è tornati, pur in mezzo a tante difficoltà e problemi che si presenteranno fino all’ultimo minuto.
La macchina organizzativa si mette in moto per definire tempi e modalità dell’avventura. Ma l’impresa più ardua resta quella di reperire in tempo utile le risorse finanziarie. Tutto il partito viene messo sotto pressione: dagli organismi provinciali, alle sezioni, alle cellule, tutti devono sentirsi coinvolti in una operazione il cui successo va garantito ad ogni costo. Per la raccolta dei fondi necessari si susseguono le feste, i momenti di incontro collettivi e individuali. Anche gli amici e i simpatizzanti “facoltosi” sono chiamati a compiere il massimo sforzo possibile. Tutto ciò però non basta, la raccolta è di oltre 12 milioni, ed ecco allora la decisione di ricorrere ad un mutuo con la Cariplo, per un importo di altri 12 milioni di lire. Un atto fino a poco tempo prima assolutamente impensabile! Per coprire il costo complessivo che – per terreno e costruzione – ammontava a 29 milioni, ne mancavano ancora 5. Alla loro copertura avrebbero contribuito il Comitato regionale e la Direzionale nazionale, oltre ad una nuova sottoscrizione straordinaria da lanciare verso la fine lavori.
Nel racconto di Aloardi viene anche ricordato il contributo in termini di lavoro personale volontario: “Quando nei primi mesi del 1967 i lavori di costruzione della nuova sede erano a buon punto, iniziarono le visite di compagni, amici e simpatizzanti … in tanti offrivano la loro disponibilità per portare a compimento la costruzione. Ed ecco all’opera idraulici, elettricisti, falegnami, stuccatori, imbianchini, fabbri, tutti impegnati nel dare il loro contributo alla realizzazione di un sogno rincorso per lungo tempo: dare al PCI una sede propria, dignitosa, autosufficiente. “
Si giunse così a quella domenica 21 maggio in cui non ci fu solo il taglio di un nastro. In quella splendida giornata di sole, così la ricorda Aloardi, una grande manifestazione percorse le via cittadine. Da Piazza Repubblica a Viale Monte Rosa si snodava un grande corteo festoso e combattivo innalzando striscioni e cartelli contro l’aggressione USA al Vietnam e contro il fascismo in Grecia (dove pochi giorni prima c’era stato un golpe militare). E in quella folla era possibile notare “soprattutto tra i compagni più anziani e non solo tra loro, gli occhi lucidi e l’orgoglio per l’impegno e le battaglie politiche e sociali del loro Partito”.
(*) Il volume “A zonzo nella memoria” è una raccolta di racconti e testimonianze di 64 dirigenti del PCI varesino. Curato da Giancarlo Aloardi e Amedeo Bianchi è stato pubblicato nel novembre 1989, alla vigilia dello scioglimento del PCI. E dopo l’’89 anche il “bunker” resta solo un ricordo del passato che fu.
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