Tra le varie opinioni/certezze diffuse sulla legge elettorale che verrà, ce n’è una che racconta del niet della Corte costituzionale al sistema maggioritario e al ballottaggio. Trattasi d’un poderoso esempio di sgangherata bufala.
La Consulta non ha mai espresso tal parere. S’è limitata a bocciare uno specifico tipo di legge elettorale, proposto in parallelo alla riforma costituzionale poi cassata dagl’italiani (ah, quest’italiani) nel referendum del 4 dicembre scorso. Eccessivo venne giudicato il premio conquistabile da un partito con relativamente pochi consensi. Ma se il meccanismo fosse corretto dal Parlamento, nulla in generale osterebbe (osta) alla sua applicazione.
Del resto, un sistema maggioritario vige da anni e consente/favorisce, senza che alcuno s’indigni, l’elezione dei sindaci. Né si levano, da parte dei sostenitori d’una resurrezione del proporzionale abolito dopo Tangentopoli, obiezioni al metodo francese che ha collocato Macron alla presidenza della République; o alle regole americane che han designato Trump commander in chief degli Stati Uniti. Eppure, in entrambi i casi, il criterio della governabilità s’è imposto sulle ragioni della rappresentatività: sia Macron sia Trump ha prevalso grazie all’affermarsi legittimo d’una minoranza. Non in virtù del contrario.
Dunque certe vulgate contraddicono i fatti. E li piegano al tornaconto del momento. Non è una sorpresa, semmai una conferma. I nostri partiti (non di rado i nostri commentatori) badano alle loro convenienze, mica agl’interessi del Paese. Se vi badassero, saprebbero (dovrebbero) dar prova di realismo. Invece è una gara a dire/dimostrare che il bene è nemico del meglio, con ciò evitando di stringere un saggio accordo a vantaggio dei cittadini. C’è chi vuole spingerci alle urne con due leggi elettorali diverse: una rovinosa sciocchezza politico-istituzionale. Per non dire morale. E chi plaude al “votare prima per decidere poi”. Cioè: 1) il popolo esprime le sue preferenze sui partiti; 2) i partiti esprimono le loro sugli alleati da scegliersi per governare. Un’imbarazzante retromarcia nel nome del millantato spirito egualitario.
Nel frattempo ci si meraviglia/turba che l’Italia inaffidabile politicamente e in affanno economico (secondo debito pubblico al mondo per percentuale di Pil) non attragga fiducia, credibilità, investimenti. Ma per ridurre il deficit e abbassare la pressione tributaria, urgono un governo che possa governare, un Parlamento che esprima una maggioranza stabile, una platea di elettori consapevoli del bene pubblico. Questa, e solo questa, si chiama democrazia sostanziale. L’altra, lo è solo nella forma. Con un profilo così divisivo da guadagnarsi la definizione di democrasìa e/o così irragionevole da meritare l’appellativo di demopazzia.
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