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Cultura

SPIRITUALITÀ E OPERE

LIVIO GHIRINGHELLI - 12/05/2017

settimanaSi discute più che mai in questi tempi del lavoro in relazione al tasso di disoccupazione generale e soprattutto giovanile, agli effetti più o meno confortanti del jobs act, alle crisi aziendali con recuperi molto parziali, agli esodati, al ruolo necessariamente diverso del sindacato, con tutti i problemi connessi. Il lavoro si presenta eminentemente come sinonimo di occupazione e di remunerazione e l’approccio risulta soprattutto di tipo economico. Temi costanti il posto fisso, la focalizzazione sul lavoro dipendente, non unica scelta senz’altro, ma di macroscopica evidenza, le relazioni industriali con l’opportunità/necessità della concertazione. Si impone all’attenzione senz’altro la traiettoria evolutiva del lavoro.

Nel 2019 occasione di rimeditazione sarà il ricorrere del centesimo anno dell’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) anche nella prospettiva degli sviluppi che si intravedono nel campo dell’intelligenza artificiale, della stampa 3 D, delle nano e biotecnologie e dei cambiamenti climatici per uno sviluppo sostenibile, quale si presenta nell’Agenda 2030, approvata dall’Onu nel 2015.

In ambito nazionale di indubbio interesse risulterà la 48a settimana sociale dei cattolici italiani, prevista a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017 dal titolo: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”. Presidente l’arcivescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro.

Assai preoccupa che i lavoratori in futuro possano avvertirsi come semplici terminali umani di sistemi interconnessi sempre più sofisticati. La necessità di riduzione della standardizzazione a favore della personalizzazione dei prodotti in base alle esigenze del cliente e la possibilità di produrre a richiesta non deve compromettere le tutele dei lavoratori. È comunque esigenza imprescindibile che si affronti la questione dell’alfabetizzazione digitale di massa. Come orientare e governare questo processo? Come rendere flessibile la frontiera tra tempo di lavoro e non lavoro? Quali modelli promuovere per incoraggiare nuove forme di legame sociale? Il carattere sociale del lavoro viene certo depotenziato dalla progressiva parcellizzazione della produzione, dal prevalere di una cultura individualista.

Il lavoro pare confinarsi sempre più nella sfera del privato. In crisi irreversibile senz’altro è il modello universalista ottocentesco del welfare. Risposte innovative interessanti, ma insufficienti, si possono trovare nel welfare di comunità e nel welfare aziendale. Il rischio è quello di perdere in eguaglianza e inclusione. In rilievo imperativa è la costruzione creativa di forme di solidarietà fondate sulla partecipazione alla produzione di ricchezza in quanto sforzo collettivo (mondo cooperativo e associativo). Né meno convincente è il criterio di promuovere luoghi di lavoro accoglienti e inclusivi.

Purtroppo operano nel settore informale (senza copertura) ben 3 dei 7 miliardi di abitanti del pianeta, onde precarietà e un certo grado di esclusione, ma vi si può anche trovare una riserva di valori, capacità e opportunità. Sulla scorta della Laudato si’ (n.125) va definita lavoro qualsiasi attività che implichi qualche trasformazione dell’esistente. Ne deriva che va interrogato anche il rapporto tra lavoro, remunerazione e gratuità. Il paradigma consolidato di dominio e sfruttamento della natura, di cui il lavoro è diventato strumento, va riconsiderato nella logica della cura della casa comune.

Il n. 128 della Laudato si’ dichiara: Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. Si deve però purtroppo constatare che manca a circa 200 milioni di persone al mondo; per chi ha meno di 25 anni ci sono probabilità di disoccupazione tre volte più alta che in età più avanzata. 168 milioni all’in circa i bambini che lavorano (21 milioni in regime di lavoro forzato o di schiavitù). Va considerata anche la dimensione qualitativa. La crisi dei valori è data dalla visione tecnocratica del funzionamento dei mercati e del loro bisogno di efficienza. La tecnologia dovrebbe invece essere strumento di liberazione e di emancipazione, finalizzato al benessere e al progresso. Di qui la larga perdita di fiducia negli attori e nelle istituzioni della vita pubblica, la crescita dell’estremismo, il populismo, la xenofobia, il rifiuto dell’altro. Ci sono anche i bisogni particolari dei lavoratori domestici (almeno 50 milioni di persone). E i lavoratori agricoli sono stati dimenticati per 20 anni secondo l’Oil.

Immensa è la questione della mobilità umana nel contesto della globalizzazione dell’indifferenza denunciata dal Papa. Già Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei lavoratori (1° Maggio 2000) poneva il problema della dignità del lavoro.

Delineando un breve excursus storico nella mitologia dei Sumeri esisteva un pantheon costituito e diviso tra divinità maggiori e minori: queste ultime erano tenute con profonda insoddisfazione al lavoro servile. Di qui da parte dei primi l’introduzione e creazione generosa degli uomini, destinati alla fatica, nonché della zappa. La massima aspirazione degli uomini consisteva quindi nella possibilità di vivere senza lavorare.

I primi capitoli della Genesi, che risalgono al V-IV secolo a.C., ci sottopongono un quadro in cui anche Dio lavora, dando vita all’universo e riposando il settimo giorno, mentre la creazione dell’uomo a sua immagine e somiglianza lo chiama ad essergli partner nella custodia e manutenzione del creato, luogo armonioso e vivibile, in termini di cooperazione. Col peccato originale di trasgressione l’uomo trasforma il dono in un possesso da conquistare. Il lavoro solo a prezzo della fatica diventa una pena necessaria per vivere, pur mantenendo la sua dignità.

L’Ellenismo distingue tra vita contemplativa e vita attiva, privilegiando la prima. Il termine lavoro per molti secoli è riservato all’attività manuale. Il Siracide (autore vissuto all’in circa intorno al 200 a.C.) precisa che una vita troppo occupata nella produzione di beni materiali impedisce di acquisire la sapienza, affermando la superiorità della professione dello scriba. Nei Proverbi (8, 22-31) la Sapienza viene personificata come un architetto che condivide con Dio il piacere della creazione. Il lavoro occupa un ruolo centrale nella spiritualità ebraica, non altrettanto nella tradizione cattolica.

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