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Cultura

BODINI MASSONE? RIDICOLO

SERGIO REDAELLI - 12/05/2017

Il monumento a papa Montini al Sacro Monte

Il monumento a papa Montini al Sacro Monte

“Mio padre sorrideva delle accuse di massoneria e anch’io le trovo assolutamente inverosimili. Era un uomo dal carattere forte e sanguigno ma capace d’ironia. Quando spiegava la sua opera, parlava volentieri delle scelte plastiche e lasciava agli altri riflettere o addirittura fantasticare sui contenuti e i significati. La controversa questione della pecorella con cinque zampe è da interpretare come una ricerca sulla forma. Da qualunque parte la si guardi, con qualunque prospettiva, la pecora deve dare un’idea di stabilità, essere formalmente perfetta”.

Sara Bodini, 33 anni, laureata in filosofia alla Statale di Milano, dirige da un anno e mezzo il bellissimo museo di Gemonio dedicato al padre Floriano. “Non è esattamente quello che da ragazza pensavo di fare nella vita e lavoro a Milano in un campo molto diverso – confessa – ma sapendo quanto mio padre tenesse a questo museo, ho deciso di assumerne la responsabilità. Ho la fortuna di avere con me mia madre che ha vissuto trentacinque anni accanto a lui e ne è la memoria storica, mia sorella Paola che vive a Carrara ma che sento molto vicina e una squadra di collaboratori che mi aiutano, Lara Treppiede, Daniele Pilla, Guido Biotti, Stefano Calderara. Tutti preziosi. Nonché i fedelissimi volontari”.

Domenica 7 maggio si è tenuta al museo la Giornata dell’incisione, un successo annunciato dopo la fortunata edizione del 2016 dedicata alla fusione in bronzo. Un omaggio alle attività artigiane dimenticate e al primo Bodini degli anni Cinquanta e Sessanta, agli entusiasmi giovanili di Brera e del gruppo del Realismo che si rifaceva agli esistenzialisti francesi, quali Sartre e Camus. Lui unico scultore tra i tanti amici, Vaglieri, Ceretti, Guerreschi, Romagnoni, Banchieri e Ferroni, che oggi ospita nel suo museo. Artisti che raccontavano il dopoguerra, le periferie, l’immigrazione, la povertà, la violenza.

Poi la scoperta dell’arte sacra, evoluzione matura di Bodini. Spiega la figlia: “In gioventù mio padre fece un Cristo in croce che gridava e i cardinali che lo guardavano con sufficienza. L’opera oggi fa parte di una collezione privata a Milano. Lui nato nel 1933 in una famiglia cattolica e praticante di Gemonio era inizialmente critico verso la Chiesa e si è interrogato tutta la vita su questo tema. Emblematici sono i tre monumenti a Paolo VI: il primo in legno del ‘68 ora ai Musei Vaticani, il secondo dell’86 al Sacro Monte di Varese, il terzo dell’89 nel Duomo di Milano. C’è in questi tre ritratti la storia dei suoi rapporti con la fede”.

Prosegue Sara: “Da una posizione più critica ed esistenziale giunse ad una maggiore comprensione, anche se forse mai totale. Non volle andare in Palestina con la delegazione di artisti di Paolo VI, per ribadire la propria indipendenza è perché, non credendo nella resurrezione, non gli sembrava giusto visitare il santo sepolcro al seguito del Papa. Nelle successive rappresentazioni si coglie una sorta di pacificazione. Fino all’ultima, più trascendentale, la porta di San Giovanni in Laterano, altamente drammatica, quando la malattia già ne limitava i movimenti, con la Madonna, il Bambino e la Crocifissione. Dove le contraddizioni paiono sciogliersi”.

Infine il rapporto con monsignor Pasquale Macchi che lo introdusse in Vaticano e presso papa Montini, un rapporto forte, di amicizia e stima. “Trascorrevamo le estati a Loreto – racconta la figlia dello scultore – e passavamo il tempo con l’arcivescovo. Lo ricordo bambina, veniva in casa, era di famiglia. Una persona con le sue durezze ma di sensibilità e cultura enormi. Un aneddoto? Quando non aveva pensieri per la testa, canticchiava in francese “La Mer” di Charles Trenet e raccontava volentieri barzellette. Non era un uomo semplice, però capace di forti rapporti di amicizia. Con mio padre c’era un bel dialogo. Con la giusta distanza di rispetto reciproco”.

E proprio con il Sacro Monte, dove campeggia la statua dell’arcivescovo Montini creata da papà Floriano, la direttrice del museo di Gemonio vorrebbe trovare nuove sinergie promozionali: “Già iniziate con la bravissima Laura Marazzi conservatrice del museo Baroffio – spiega – una persona competente in arte come poche ne ho conosciute nella vita”.

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