Si dice che a Varese il verde della natura è trionfante ed è vero: dominano imponenti i secolari cedri in mezzo a innumerevoli qualità di altri alberi, tra cui le invasive palme con la loro “vorace” capacità di riprodursi e di infestare… e di conseguenza non molto amate da parecchi agronomi. A Milano invece è diverso: per i milanesi queste palme sono talmente affascinanti che le hanno messe addirittura in piazza Duomo. Tutti i gusti son gusti, si dice.
Orbene: il nostro verde permane, anche se tanto cemento è stato colato sopra e attorno. Dobbiamo preservarlo per avere la possibilità di valorizzarlo per la nostra salute, la nostra vita e per la nostra economia. Abbiamo anche monumenti storici e chicche pittoriche ed architettoniche; siamo alla ricerca di una bella piazza (la sapremo realizzare?), ma ripeto: quello che veramente caratterizza il territorio è il nostro verde con incastonato l’azzurro dei nostri laghi.
A ben guardare Varese è quasi un gigantesco giardino botanico che dovremo migliorare nel futuro, che dovremo saper rendere famoso con adeguata pubblicità, adeguati eventi artistici, culturali, ludici in modo da richiamare pubblico e turisti.
Si stanno facendo progetti in questo senso e potrebbe venir fuori un circuito capace di avvicinare i visitatori dei parchi varesini. Certo la concorrenza è grande: le fioriture dei tulipani a villa Taranto, il giardino delle azalee a villa Carlotta, più vicina la fioritura dei crocus a villa Bozzolo di Casal Zuigno, che però, proprio per la sua vicinanza, potrebbe far parte del nostro circuito perché è un errore considerare Varese limitata al troppo piccolo spazio del comune varesino. Una Varese più ampia ingrandirebbe di riflesso le aree limitrofe che, pur restando distinte, unificherebbero il verde territorio con un notevole aumento di possibilità economiche per tutta l’area. È questione di saper pensare in un modo diverso la nostra zona, vederla con occhi nuovi, superando la obsoleta cultura dei campanili. Ad esempio: Villa Cicogna, villa Cagnola, sono a una manciata di chilometri da Varese: perché lasciarle da parte?
È questo un tema da meditare bene, così come il futuro dei nostri parchi. Prendiamo ad esempio Villa Mylius, donata al Comune qualche anno fa da una generosa famiglia varesina. Un tempo fu debolmente prospettato di insediarvi una mostra permanente delle opere di Guttuso. Poi in modo più consistente si parlò e si progettò la creazione di un’accademia dell’alta cucina, ma non si rimase concentrati solo sul cibo e si parlò anche di accademia musicale.
Attorno alla villa sono stati creati, anche se non numerosi, dei posteggi, sul lato opposto all’ingresso principale. Fu fatta ricerca di fondi. Il non molto giovane accademico della cucina rispose con entusiasmo all’idea, ma sorsero e stanno sorgendo difficoltà a questo progetto per cui spuntano nuovi pareri di utilizzo di questa struttura.
Indecisioni create ad arte? Pareri diversi dagli originali? Sfumare dei progettati investimenti? Un po’ tutto questo.
Qualcuno ci ipotizza il trasferimento dell’Archivio di Stato, attualmente compresso in un edificio non più sufficiente per i suoi compiti. L’obiezione è lo stridere dell’Archivio, dalle caratteristiche freddamente tecniche, con il progetto di accademia del paesaggio, suggerito dalla competenza di altri progettisti. Un archivio di Stato non può attirare molte persone, salvo che la passione degli addetti, trovandosi a disposizione molti più spazi, non voglia realizzare più numerose manifestazioni di quelle realizzate fino ad ora, valorizzando la storia del nostro territorio. Gli esperti per farlo ci sono.
Altra prospettiva: insediare un laboratorio di ricerca della facoltà di scienze naturali della nostra università che potrebbe sperimentare sul campo, cioè essere un laboratorio di studi sperimentale per la facoltà stessa.
Tutte idee valide, tutte idee criticabili.
Il problema di villa Mylius non si risolve però con l’elencare cosa si potrebbe fare o non fare, ma piuttosto progettando un qualcosa che metta il parco e la villa a disposizione dei varesini in modo che loro la godano, la gustino, la vivano, la sentano loro.
Ma ritornando a meditare sul numero e l’estensione dei parchi del nostro territorio: balza all’occhio il dono che i nostri avi ci hanno lasciato, la cultura in essi insita che ci è stata tramandata. Sarebbe stata pazzia smembrarli e trasformarli in condomini anche se elegantemente collocati nel verde. Qualche parco ne è stato vittima, bruciato dalla speculazione edilizia. Adesso è ora di rinnovarci e vivere in modo adeguato la loro bellezza, cercando di donarla a chi avrà l’accortezza e la sensibilità di apprezzarla.
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