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Cultura

COPPIA D’ARTE E UMANITÀ

LUISA NEGRI - 11/05/2017

 

Avere come padre Vittorio Tavernari (1919-1987) è motivo di orgoglio.

Non lo nasconde la figlia Carla nel volume che ha deciso di dedicargli – e che uscirà in questi giorni (“Vittorio e Piera Tavernari”, Macchione editore)- mettendo assieme, accanto al suo personale ricordo, la memoria di una vita d’artista, ma anche di un’intera famiglia che con lui ha vissuto nell’arte e nell’ amore.

In realtà il libro, una biografia illustrata, è dedicato, oltre che allo scultore, allievo di Francesco Wildt e protagonista indiscusso dell’arte del Novecento, alla memoria di entrambi i genitori.

E forse è stato questo uno dei fondamentali motivi che hanno spinto l’autrice a frugare tra le carte di casa e nell’’archivio, a rievocare esaltanti “vacanze di lavoro”, a ricostruire gl’intrecci della famiglia materna legata, per vincoli parentali o amicali, a diverse casate note del territorio varesino: se Vittorio, nato a Milano da benestanti, di radici piemontesi per parte di madre, poté vivere al meglio la sua arte, un decisivo merito va anche a Piera Regazzoni, compagna di una vita e madre di Carla e Giovanni, spentasi il 3 novembre 2006, a 93 anni.

Non solo lei seppe comprendere da subito il talento di lui, ma lo sostenne sempre, incoraggiandolo e consigliandolo, e accompagnandolo, fisicamente e spiritualmente, ovunque la sua arte lo richiedesse. Lo seguì, per un’intera vita, con gioia e leggerezza, e insieme con fermezza e lungimiranza.

La sensibilità artistica poi li accomunava, Piera era musicista colta e appassionata.

Anche per questo si erano capiti al primo incontro e si erano scelti. La cornice era quella elegante dell’’Hotel Palace, negli anni della giovinezza, e purtroppo, della guerra. Lui attendeva all’impegno decorativo nel complesso Liberty, lei allietava col violino i malati ricoverati, poiché la prestigiosa costruzione sul Colle dei Campigli era stata adibita a ospedale militare. Tra i due fu amore a prima vista.

Ho avuto la fortuna d’incontrare per la prima volta Piera nel 1989. Il motivo era quello di mettere assieme, per ragioni di lavoro, una biografia su Tavernari.

Piera mi spalancò, come usava fare con gli ospiti, le porte della bella casa di via Dandolo, dove Vittorio aveva avuto anche studio per anni, e dove, nel salone affacciato sui tetti, lei organizzava per gli amici concerti domenicali coi colleghi musicisti. Ma, soprattutto, mi aprì quel generoso cuore di persona sempre disponibile a ogni incontro.

Fu l’inizio di una conoscenza destinata a tramutarsi in vicendevole simpatia, allargatasi anche alla famiglia, e particolarmente a Carla, una laurea in Storia dell’arte, già da allora custode competente e sensibile degli archivi e della memoria del padre.

Ogni incontro con Piera, spesso occasionale, per mostre o concerti, o eventi culturali che la vedevano in veste di frequentatrice attenta, era conferma della sua sensibilità: non solo per la competenza dei commenti, ma soprattutto per quel modo positivo di affrontare la vita. Era davvero rasserenante e piacevole parlarle.

Ricordo al museo Bodini collettive dove erano presenti opere di Vittorio: la sua voce, inconfondibile, attraversava le sale, ti arrivava, prima ancora di incrociarla, come un raggio di sole pronto a illuminare.

La ricordo ancora una sera, vivace e frizzante, durante un viaggio in Svizzera per un concerto, verso Morcote, in compagnia di Vittore Frattini e sua moglie. E Riccardo Prina, indimenticabile esperto d’arte, in un pezzo di commiato dedicatole su Artevarese rievocò la visione della sua chioma turchina sfoggiata a una mostra dell’artista italo americana Anna Burke. “Mi sono voluta togliere uno sfizio”, gli aveva spiegato ridendo.

Piera, anche nella più tarda età, sapeva essere giovane dentro: non ne raccolsi mai banali lamentele di malanni o problemi quotidiani. Era piuttosto lei, garbata e premurosa, a inquadrare gli umori altrui, a leggerti nell’anima, i grandi occhi radiosi che guardavano dritto l’interlocutore da sotto la frangetta, il timbro limpido della voce, chiaro e incoraggiante. Attenta alla vita degli altri, pronta a registrare, nella sua prodigiosa memoria, quelle schegge di esistenza che disseminiamo più per essere rassicurati, che per raccontarci. E lei, all’incontro successivo, avrebbe ripreso il colloquio proprio da lì, rammentando tutto, informandosi con garbo di ogni novità, esaltando con entusiasmo ogni piccolo traguardo di chi le parlava.

Alla presentazione del volume che mi aveva portato a conoscere la famiglia di Tavernari, alla villa Ponti, c’erano anche Piera e Carla. Parlando al pubblico osservavo loro due: i cenni rassicuranti del capo, l’attenzione e lo sguardo compiaciuto di Piera, mi incoraggiarono e accompagnarono in quella positiva, ma per me difficoltosa, circostanza.

Avevo chiuso l’intervento proponendo, dopo alcune citazioni di Morselli e Guttuso, le rivelatrici parole di Vittorio, spesso ricordate da chi conosce i suoi scritti: Io sono uno di quelli che credono all’arte come sorgente di vita.

Considerando la vivace saggezza di Piera, la passione dell’intera famiglia Tavernari e la presente, generosa fatica di Carla – certo piacevole, ma pur sempre impegnativa nell’ampia ricostruzione di tanta vita d’artista – mi sembra si possa dire che, davvero, quella sorgente cara a Vittorio sia ancora limpida e vitale come allora.

Tocca ora alla città di Varese, che dal suo artista è stata onorata nel mondo, proteggerla e diffonderla.

Il libro “VITTORIO e PIERA TAVERNARI” di Carla Tavernari sarà presentato sabato 13 maggio, alle ore 18, alla Sala Montanari, Via dei Bersaglieri 1 a Varese. Interverranno il sindaco Davide Galimberti e il professor Flaminio Gualdoni dell’Accademia di Brera. Condurrà il giornlista
Gianfranco Giuliani. Sono previste testimonianze di amici ed artisti.

Nelle foto immagini di famiglia dal sito www.vittoriotavernari.it

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