Per chi a lungo ha riferito delle vicende di una città sarebbe una vera impresa condensare in un volume ricordi degni di generale interesse.
Ho avuto un direttore, Mario Lodi, che giornalmente ha tenuto una sorta di diario di bordo navigando per decenni nelle acque varesine con il massimo rispetto per la comunità, per se stesso e per i suoi redattori.
Arrivato alla pensione Lodi avrebbe potuto sbizzarrirsi nel dare forma e sostanza a ricordi che abbracciavano un immenso e importante arco di tempo: se non lo ha fatto non è stato certamente per pigrizia, ma credo per non sottrarre tempo a un ruolo molto importante nella famiglia, quello, davvero entusiasmante e totalizzante, di nonno.
Io nonno non sono stato, mi chiamano zio un battaglione di nipoti e pronipoti, non ho conservato nemmeno un solo taccuino degli appunti, sacri e indispensabili per un cronista; per di più l’attività nei palazzi di giustizia di Como, sino al 1963, e poi di Varese per diversi anni, ha richiamato più volte alla mia attenzione incredibili ribaltamenti di verità annunciate come immutabili.
Questa saggia diffidenza, aggiunta a una pigrizia, invincibile davanti a ipotesi di un lavoro molto faticoso, mi hanno sempre indotto a stare alla larga da memorie ipoteticamente importanti.
Per di più, davanti a situazioni delicate e intricate, quando lo ritenevo opportuno evitavo il ruolo di giudice. Scelta che indispettiva il mio capo che per qualche giorno mi chiamava “el me Pilat”, ruolo che ancora oggi mi risparmia racconti trionfalistici o a senso unico di avvenimenti o di imprese, anche di notevoli uomini d’avventura, nel Nord Ovest di Lombardia.
La cronaca dei tempi odierni, realisticamente per me gli ultimi anche dal punto di vista professionale, a volte propone incursioni nel passato soprattutto se per una serie di scelte personali o di strane situazioni vedo inoltrarsi, magari con qualche interessata spintarella, nei sentieri dell’oblio la memoria di personaggi di rilievo.
Questo cammino verso il nulla mi addolora se si tratta di uno dei miei “Amici della notte”, persone diventate tali decenni or sono con le loro non programmate apparizioni notturne nella redazione della “Prealpina”. Accadeva verso le 23, quando chi doveva impaginare il giornale scendeva in tipografia e restavamo in pochissimi di guardia, a portata di telefono, mentre a volte il solo Morgione si isolava nel suo box avendo ancora l’impegno urgente della sua fulminante vignetta.
Questa atmosfera di calma e silenzio durò sempre, si fu noi tutti imperturbabili nel rito della pausa vigilante delle 23 anche dopo le imprese dei superestremisti del sole dell’avvenire che presero a fucilate la sede del quotidiano e minacciarono noi giornalisti e i nostri famigliari.
In questa quarantina di minuti in parte sacri alla riflessione e al silenzio, a volte comparivano, davvero in punta di piedi, quelli che con il tempo avrei definito appunto gli amici della notte. Il loro “salto” in Prealpina avveniva per discutere e confrontarsi con giornalisti non faziosi su problemi e situazioni che potevano riguardare i loro rapporti con la comunità o semplicemente progetti e notizie di interesse pubblico.
Erano personaggi che non chiedevano aiuti di nessun genere, tantomeno appoggi e favori: piaceva loro avere eventualmente un riscontro con chi poteva avere, grazie al mestiere, una sensazione ampia del respiro della città.
Sono stati incontri sempre ispirati a delicatezza e rispetto notevoli, dei quali avvertivo l’importanza considerandoli utili alla crescita della nostra città e a una migliore comprensione dei problemi da parte di noi operatori dell’informazione.
Non escludo di poter dare conto di questi incontri, ne parlo oggi perché una volta di più ho constatato che avvicinandosi date importanti per il ritorno alla democrazia si attenui o scompaia la memoria di persone che non solo hanno fatto coraggiosamente la loro parte nella conquista della libertà, ma in seguito, a lungo e con dedizione, hanno servito la comunità locale.
Un impegno dimenticato se non contestato se i ricordi dei giorni di lotta hanno indotto questi personaggi a importanti revisioni, a una ben diversa ricostruzione di avvenimenti presentati e celebrati ufficialmente per anni con rilevanti inesattezze.
Succede sempre che la storia venga scritta almeno in due tempi, distanti anni, e perciò divenga inevitabilmente oggetto di revisione, di versioni e interpretazioni che a volte possono intaccare veri miti. La portata di queste revisioni può avere a volte ricadute pesanti perché si commette l’errore, culturale prima ancora che politico, di lasciare ad altri, spesso di contrapposte ideologie, la documentata riscrittura degli avvenimenti.
Il tempo spesso non fa sconti, con gli anni riaffiora sempre una terza e più accettata lettura di avvenimenti ormai passati alla maggiore serenità della storia lasciando alle spalle i tormenti e il tifo di bandiera e le trappole della cronaca.
La mia stagione di cronista affezionato alla sua città da qualche anno vede regolarmente dimenticato un personaggio protagonista della lotta di Liberazione: Renato Morandi. Il nostro concittadino, con l’autorizzazione dei vertici nazionali del suo partito (il Pci), contribuì alla ricostruzione dopo la fine del regime fascista avvenuta qui da noi, nel Nord lombardo. Episodi chiave dell’agonia del fascismo versione repubblicana hanno avuto nel collega di giornalismo Franco Giannantoni dalla meritata fama di storico puntiglioso, preciso, di grande onestà intellettuale che incontrò in Renato Morandi un testimone estremamente affidabile.
L’amore per la verità e il rispetto per la storia costarono a Morandi emarginazione politica e silenzio anche per quanto riguarda la sua intelligente attività come consigliere comunale, come vicepresidente dell’ospedale di Circolo e presidente dell’Aci.
Per Renato Morandi ho avuto stima infinita. Se ne andò volontariamente a morire lontano da Varese e lo ricordai alla comunità nei giorni della sua scomparsa.
Il 25 aprile scorso ho pensato a lui e anche alla barriera di silenzio che non solo il tempo gli ha costruito attorno. Ha attenuato il mio dispiacere il fatto che Morandi sia stato uno degli amici della notte. Tutti autentici e generosi amici di Varese.
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