Alain Denault, filosofo canadese, insegna scienze politiche all’Università di Montreal e trova ogni tanto lo spunto per scrivere un libro. Meno male, perché ha il gusto/la perizia d’analizzare bene i fenomeni della contemporaneità. L’ultimo che ha firmato s’intitola “La mediocrazia”, e arriva in Italia in questi giorni, edito da Neri Pozza.
Mediocrazia intesa come prevalenza, affermazione, successo dell’universo medio, ovvero di chi sta nel mezzo, non vien preso da derive rovinose, sa interpretare/esprimere il sentimento e l’inclinazione -culturale, sociale, politica- del milieu cui appartiene?
Niente affatto. Mediocrazia nel senso di potere conquistato, difeso, tramandato dagl’immeritevoli. O per fortuna e caso, o per calcolo e astuzia. È lontanissima la stagione dell’aurea mediocritas di Orazio Flacco, quando si suggeriva di tenersi a distanza dagli estremi per raggiungere (provare a raggiungere) la felicità. Ed è lontana l’epoca di Torquato Tasso, secondo il quale “…la virtù sta nella mediocrità”. Adesso è il tempo dominato dai presuntuosi, che si ritengono/dichiarano paghi del loro basso livello. Morale, specialmente. E ovviamente contrabbandato per alto.
Una sentenza un po’ troppo generica, un po’ poco documentata? Assolutamente realistica, come vediamo e sappiamo. La tendenza d’oggi è di scendere giù, non di guardare su. Per esempio: svolgere determinati lavori, assumere alcuni incarichi, rivestire ruoli importanti nelle diverse branche della vita comune (quella politica, in primis) richiederebbe/imporrebbe lumi d’ingegno, titoli di studio, capacità professionali, corredo etico indiscutibili. Non va così: prevalgono -facendo aggio su rare eccezioni- gli sprovvisti di tali qualità, e certo se ne direbbe convinto anche il romanziere Giuseppe Pontiggia, pur sostenitore anni fa del concetto che “…una dose discreta di mediocrità è dote preziosa”.
I mediocri sono tanti. Sono ovunque. Sono in crescita invece che in diminuzione. Basta osservare la fenomenologia elettorale: è una corsa a spararla più grossa e grossolana degli avversari, purché sia (appaia) di maggior presa sui votanti. Che spesso abboccano all’amo, non approfondiscono gli argomenti, scivolano sulla superficie. Cedono alla forza della declamazione anziché compiere uno sforzo comprensivo, tanto da innescare il dubbio sul provvido esercizio della sovranità popolare.
La domanda è: il dono/diritto della libertà e dell’eguaglianza viene pericolosamente insidiato da modelli di comportamento che limano il pensiero predisponendolo a sentieri battuti dalla convenienza? La risposta è: sì.
Il trionfo della banalità, il predominio della rozzezza, l’egemonia di misere attitudini arricchiscono una furba minoranza impoverendo una maggioranza psicologicamente succube. Essa talvolta si accorge dell’inganno e tal’altra no. In Austria, Olanda e Francia se n’è accorta -ribellandosi al deleterio conformismo peggiorista- per la fortuna anche di chi non è austriaco, olandese o francese ed è però europeo. La prossima volta tocca a noi, italiani e/o antitaliani. Chissà se saremo miglioristi. Non considerando la speranza un’artificiosa bizzarria, e invece una naturale vocazione.
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