L’11 maggio 1997 moriva monsignor Tarcisio Pigionatti. A vent’anni dalla morte ne parliamo con Bruno Franceschetti, il bravo allenatore della Ginnastica Artistica Nazionale, che ha vissuto al De Filippi di Varese, con Monsignore, alcuni momenti esaltanti della sua carriera di ginnasta e di allenatore di ragazzi diventati personaggi di primo piano a livello mondiale.
Bruno, quanti momenti passati al De Filippi con i tuoi ragazzi e con monsignore! A distanza di vent’anni dalla morte, che ricordi hai di quei momenti e della figura di quel sacerdote che ha accompagnato una parte fondamentale della tua vita sportiva?
E’ difficile dimenticare monsignor Tarcisio Pigionatti, perché ha toccato tutti i piani della condizione umana, lasciando nei cuori un desiderio di riconoscenza che non si è perso nel corso del tempo. Il De Filippi è stato il suo tempio. Da quella collina vedeva lontano, ma non perdeva mai di vista il cuore dell’uomo, soprattutto quando quel cuore lo sentiva vicino, capace di sintonizzarsi con i suoi valori, col suo modo molto umano di trovare sempre una risposta alle domande del mondo. Di gente ne ha vista parecchia, ha stretto contatti con uomini di colore, culture, modi di essere e di pensare molto diversi tra loro. In un tempo non sospetto è riuscito a dimostrare quanto il mondo fosse piccolo, quanto il benessere di pochi derivasse dalla convergenza di molti, quanto la vera forza di una comunità consistesse nella sintonia e nella sintesi. Un varesino convinto della propria identità, un sacerdote attento a tutto, con un occhio vigile su quel mondo dello sport che ha portato uno spirito nuovo a un Convitto dove la diversità è sempre stata una ricchezza. Sono passati vent’anni e sembra ieri, a dimostrazione che gli amici, quando sono veri amici non passano mai di moda, restano fissi nella memoria di chi li ha vissuti e amati.
Quando sono iniziati i tuoi rapporti con monsignore?
I miei rapporti con monsignore sono cominciati negli anni sessanta quando, prima delle Olimpiadi del sessantotto, noi atleti della Nazionale, per due anni, abbiamo svolto la preparazione estiva al Convitto De Filippi. Quella con il De Filippi e monsignore è stata una storia molto lunga, che ha coperto tutto l’arco della mia vita sportiva, prima come ginnasta, poi come allenatore. Il nostro rapporto è durato fino alla sua morte, avvenuta l’11 maggio del 1997. Nel primo periodo, quello che va dalla fine degli anni sessanta ai primi anni settanta, il rapporto con il Convitto era soprattutto estivo, quando eravamo impegnati nei collegiali, che duravano anche due mesi. La squadra nazionale si allenava in Varesina ed era ospite del Convitto De Filippi. Fin dall’inizio monsignore ha dimostrato una certa predilezione per la Ginnastica, lo si poteva cogliere nel rapporto che intratteneva con tutta la squadra, con i dirigenti, l’allenatore, i ragazzi, lo abbiamo capito subito, anche se manifestava una grande simpatia per tutti gli sport in generale. Al De Filippi convergevano calciatori, ciclisti, cestisti, nuotatori, rappresentanti dell’atletica nazionale, ciò nonostante monsignore era un grande estimatore della Ginnastica, forse perché la vedeva come una disciplina legata a regole precise, capace di far crescere il carattere e la personalità dei ragazzi. Quando nel 1976 sono diventato allenatore responsabile del Centro giovanile della Federazione ginnastica, è nata subito un’intesa con tutti, in particolare con il direttore tecnico, professor Bruno Grandi, il quale riponeva molta fiducia in quello che il De Filippi avrebbe potuto offrire in termini educativi. Il fatto che ci fossero sacerdoti al timone come monsignor Tarcisio Pigionatti e don Manzoni rendeva ancora più forte la convinzione che si trattasse del luogo ideale per una squadra che puntava alla formazione di giovani capaci di unire alle doti atletiche e tecniche, quelle legate alla crescita umana, morale e sociale.
Avevi un bel gruppo di atleti, che ti ha dato parecchie soddisfazioni. Che ricordi hai di quei momenti?
Quando ho cominciato come allenatore avevo dieci ragazzi, dai tredici ai sedici anni, un gruppo molto giovane. C’erano Diego Lazzarich, Corrado Colombo e molti altri. Poi è arrivato Jury Chechi, che ha raggiunto quel successo che tutti conosciamo. Con noi c’era anche Boris Preti, ma solo durante il periodo estivo. Per l’estate, infatti, si utilizzava l’impianto della Varesina, che era diventato il fiore all’occhiello della Federazione. E’ stato un grande momento per la Ginnastica italiana, per Varese e per il De Filippi e credo che monsignore abbia avuto un ruolo fondamentale, perché ci ha fatto trovare quel clima e quell’ambiente che sono stati determinanti nel raggiungimento di risultati importanti. Con monsignore non era difficile stabilire buone relazioni, perché era una persona molto rispettosa dei ruoli e faceva di tutto per rendere più accogliente e familiare lo stare insieme, il condividere. Era sempre molto attento a tutto e, insieme a don Manzoni, non ci ha mai fatto mancare niente. Aveva sempre una battuta pronta per incoraggiare e sdrammatizzare e riusciva a farti sentire a casa anche nei momenti difficili.
Hai qualche aneddoto al riguardo?
Eravamo nel 1978, avevo preparato i ragazzi per un incontro in Inghilterra, perché l’Inghilterra è sempre stato un paese con una buona tradizione. Prima di partire, monsignore e don Manzoni ci hanno atteso in cortile per un momento di raccoglimento e di preghiera: era il loro modo di augurarci <in bocca al lupo>. Ricordo molto bene quel momento, sono rimasto molto soddisfatto, ho recepito quell’atto come un gesto che avrebbe fatto bene al gruppo. Siamo partiti per l’Inghilterra e abbiamo giocato le nostre carte. Abbiamo vinto l’incontro, è stato un grande momento di gioia per il futuro della squadra e per gli impegni che ci attendevano. Al Convitto non sapevano della nostra vittoria così, quando siamo arrivati, abbiamo annunciato la notizia con la grossa coppa in mano. E’ stata una grande festa anche perché non se l’aspettavano, è stata una bella sorpresa per tutti e per monsignore in particolare. Monsignore e don Manzoni erano visibilmente soddisfatti e lo sono stati ancora di più quando abbiamo deciso di lasciare la Coppa al Convitto. In quel momento ho pensato che l’attenzione manifestata da Monsignore e don Manzoni, poco prima della partenza, fosse stata davvero benaugurante
Com’era con i tuoi ragazzi?
Molto attento, pronto sempre a sdrammatizzare, a dire una parola di incoraggiamento, a scherzare, ma capace anche di “arringhe” mirate per richiamare all’ordine qualora ce ne fosse stato bisogno. Era carismatico, le sue parole e il suo pensiero avevano un peso determinante nella vita del Convitto. I miei ragazzi avevano imparato ad apprezzarlo e a stimarlo per l’onestà del carattere e per la decisione con cui sapeva trovare le vie d’uscita.
E con gli istruttori?
Era tollerante, sapeva chiudere un occhio, lasciare spazio agli affetti familiari, sempre pronto a trovare uno spazio e un tempo per tutti. Capiva al volo le nostre esigenze e spesso ci consegnava le chiavi di una stanzetta in cui potevamo ritrovarci per chiacchierare, per una festicciola in famiglia, per sentirci liberi di bere un buon bicchier di vino in compagnia. Si trattava di piccole cose che, per noi, avevano un grande significato.
Qualche ricordo particolare?
Da ginnasta ho fatto un collegiale estivo di circa due mesi e come sempre al Convitto c’era grande cordialità. Alla fine, quando ci siamo congedati, monsignore non c’era. Tutti gli altri miei compagni erano riusciti a salutarlo, io no. Ero inquieto, non riuscivo a capacitarmi di non esserci riuscito. Quando sono arrivato a Roma mi sono imposto di scrivergli una lettera, mettendo in evidenza la ragione per cui non ero riuscito a salutarlo. Lui mi ha risposto subito. Mi ha mandato una lettera bellissima, mettendo in risalto la delicatezza che avevo avuto nei suoi confronti. Monsignore era così, capace di sorprenderti e di incoraggiarti, allargando sempre un pochino di più l’orizzonte dei tuoi pensieri. Ricordo la sua vicinanza quando è morto mio figlio. E’ stato un momento di crisi per me e per la mia famiglia, monsignore mi ha accompagnato, mi ha sollevato, ha fatto di tutto per trasmettermi la sua buona parola, coinvolgendo in questo anche un frate della Brunella, che per alcuni mesi mi ha telefonato settimanalmente per portarmi conforto. Non posso dimenticare queste delicatezze, che sono state importantissime per superare il momento più difficile della mia vita.
Ricordare monsignor Tarcisio Pigionatti è per me un immenso piacere, è un po’ come ritornare alle origini di quella straordinaria esperienza di sport che ho vissuto come ginnasta prima e come allenatore poi, tra la Varesina e il Convitto De Filippi, in compagnia di persone e di un monsignore che hanno contribuito a far crescere il mio livello di umanità.
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