(O) Avete visto quanti giovani hanno partecipato alla manifestazione “Giornata della solidarietà” indetta dalla Consulta Provinciale Studentesca e dallo Sportello Provinciale Scuola Volontariato?
(C) Come sai, non ero a Varese. Tuttavia sono molto contento che ci siano anche i giovani a muoversi in questo modo. Non devono restare solo i nonni o le casalinghe a dedicare una parte del tempo libero a persone bisognose.
(S) Io invece resto critico, rispetto ad iniziative poco consistenti, che corrono il rischio dello spontaneismo, dell’inefficienza o peggio, di cose che non voglio nominare. Quando manca un inquadramento giuridico preciso, come minimo sorgono sospetti. Guardate a tutte le vicende in cui compaiono Ong troppo grosse per essere frutto di iniziative spontanee o cooperative troppo contigue a faccendieri politici. Non fatemi dire cose che leggete tutti i giorni. Dico di più: anche quando tutto funziona nella massima legalità e trasparenza, lo Stato non deve abdicare a compiti che gli sono propri o ricorrere alla buona volontà dei cittadini privati, usandoli come tappabuchi.
(O) Ti unisci al coretto di politici opportunisti che incolpano le ONG, quelle che salvano i naufraghi in mare, di essere complici del traffico esseri umani!
(S) Non l’ho detto e non lo voglio dire, anche se la cosa nasce da un’investigazione di un Pubblico Ministero e solo dopo viene cavalcata dalla politica, pro o contro. M’inquieta la ritirata dello Stato dai propri compiti. Consideriamo una faccenda un po’ diversa, quella dell’Alitalia. Pur trascurando gli enormi e costosissimi errori fatti in passato, da quando era ‘compagnia di bandiera’, gestita e sostenuta dalla finanza pubblica alla più o meno finta privatizzazione, sempre sostenuta da contributi statali, arriviamo all’incredibile situazione attuale, in cui la soluzione, ammesso che il piano di salvataggio fosse efficace, era stata lasciata alla discrezione di un referendum tra i lavoratori, cui veniva chiesto se fossero d’accordo a rimetterci soldi e posti. Santa ingenuità? Poi, stracciato l’accordo, ci si mettono altri soldi pubblici, chiamandolo ‘prestito-ponte’, ben sapendo che non verrà mai restituito, in quanto prestito e che non porterà da nessuna parte in quanto’ponte’.
(O) Ma non deviare dal tema, che finisci per contraddirti, prima chiamando lo Stato alle sue responsabilità e subito dopo denunciandone l’incapacità ad agire efficacemente.
(C) Se torniamo al volontariato, sottolineo con decisione che non bisogna confonderlo con tutto il mondo delle realtà non governative e con l’applicazione del principio di sussidiarietà, cose che hanno grande utilità e anche regole e limiti precisi. Come sapete sono decisamente antistatalista, nel senso che ho mille prove che le varie forme di operatività della società civile, iniziativa privata compresa, sono più efficienti dell’intervento diretto dello Stato, a due condizioni: la prima , che lo Stato faccia bene il suo compito: indicare chiaramente i fini da perseguire e controllare che i mezzi usati dagli enti non statali siano legittimi e congrui. La seconda, che ci sia un’educazione del popolo tutto che ci renda presenti valori più attrattivi dell’individualismo e dell’opportunismo. Se avessimo vissuto con consapevolezza questi lunghi anni di crisi, saremmo stati capaci di creare una società non solo più solidale, ma più efficiente. Invece è cresciuto il rancore, la disunione sociale, il rimando al futuro delle decisioni difficili. Gli scontri politici si sono focalizzati sulle questione poste dai nuovi diritti, ricavandone solo altre occasioni di individualismo e di disunione sociale. In questo oceano in tempesta, il volontario, quello vero è un’eccezione straordinaria. Tutte le iniziative sociali di mia conoscenza, anche quelle di cui non mi occupo personalmente, non reggerebbero se non ci fosse il contributo, anche parziale, dei volontari.
(O) Io voglio aggiungere una riflessione che mi pare più importante del giustissimo riconoscimento del valore economico di tante iniziative. In primissimo luogo la persona del volontario è un testimone di libertà, ma di una libertà speciale, non una libertà da, ma una libertà di, quella di assumersi un impegno gratuito, una responsabilità da cui spesso molti fuggono. C’è chi dà il proprio tempo, chi dà un lavoro, una competenza, una passione, un coinvolgimento affettivo. Per alcuni, l’amministrare un’impresa sociale comporta l’assunzione di impegni e anche di rischi del tutto identici a quelli di chi dirige, ben remunerato, un’impresa profittevole. La libertà come impegno è un paradosso notevole. Poi c’è la competenza. Nelle realtà, anche sociali, strutturate come imprese, la maggior parte dei compiti consiste nell’applicare modelli standard, rispondendo ad esigenze predeterminate in modo predeterminato. E’ quello che chiamiamo burocrazia, che non riguardo solo gli enti pubblici, ma in larghissima misura tutte le realtà produttive. Non mi riferisco solo all’industria e alle catene di montaggio, ma (credetemi, non ridete) al più piccolo compito del più basso livello di qualsiasi realtà non strettamente privata. Chi fa le pulizie in una scuola, per esempio, non deve solamente farle con impegno, attenzione ed olio di gomito, ma deve usare solo prodotti certificati e certificare a sua volta, in un registro, di averlo fatto secondo il modello prestabilito; il rappresentante legale dell’ente deve, a sua volta, controllare e certificare che così è stato fatto. La preoccupazione dominante dell’impresa, subito dopo il profitto, è la la compliance, termine anglo-americano, quasi intraducibile, che significa l’adempimento pieno e puntuale della normativa e la prevenzione del rischio di perdite economiche causate da comportamenti degli amministratori o dei dipendenti che comportino discredito all’impresa. E tanto basta. Lo spirito del volontario è invece tutto teso a perseguire lo scopo del suo impegno, la sua semplice presenza ricorda inevitabilmente anche all’amministratore più scrupoloso e al dipendente più sindacalizzato il vero scopo dell’impresa sociale, sia essa una grande ONG o una piccola associazione: il tema della competenza si declina in una ricerca creativa e alacre del modo migliore di raggiungere lo scopo. Infine, la terza caratteristica principale è la gratuità, che non significa soltanto assenza di compenso, ma soprattutto distacco dall’esito. Anche questo ha in molti casi una notevole influenza positiva sulla modalità di vita e di lavoro di chi opera professionalmente nello stesso ambiente. Non che non si debba perseguire il miglior risultato possibile, ma riuscire a pensare che l’importanza di un gesto non dipende dal successo che il mondo conferisce allo stesso, restituisce a chi opera una libertà di azione e un gusto per il lavoro che non viene dato da nessun compenso materiale.
(S) Posso concedervi tutto quello che avete detto, ma dubito che questa libertà ,che precede l’impegno del volontario, possa essere insegnata, tanto meno a scuola.
(C) Sì, non può essere insegnata, tuttavia s’impara; s’impara per osmosi, incontrando e guardando, stando accanto e lavorando con persone che abbiano questa libertà. Portare nella scuola l’esperienza del volontariato può servire proprio a stimolare quell’apprendimento di comportamenti e di valori che nasce dal vedere come vivono persone autorevoli, degne di stima e di rispetto.
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
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