Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Opinioni

TERRORE E DILETTANTISMI

VINCENZO CIARAFFA - 27/04/2017

attentato

Parigi, 20 aprile 2017

L’attentato sugli Champs-Elysées del 20 aprile scorso, che è costato la vita a un poliziotto e il grave ferimento di altri due, fa parte di quella partita iniziata l’11 settembre del 2001 tra il terrorismo di matrice islamista e l’Occidente. Perché questo terrorismo ce l’ha particolarmente con la Francia? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un salto nell’Africa del Nord e in quella Centrale degli anni Cinquanta, allorquando vi si costituirono i diversi movimenti di liberazione. La lotta di quei Paesi per l’emancipazione politica fu lunga e sanguinosa perché vi si misurarono due estremismi come – giusto per fare un esempio – l’Organisation de l’Armée Secrète (OAS) francese e il Fronte di Liberazione Nazionale algerino che, con eguale ferocia, fecero ampio ricorso all’insensata violenza.

La decolonizzazione determinò l’esodo di oltre un milione di coloni francesi verso la madrepatria, i cosiddetti “Pied-Noir”. In seconda battuta emigrò anche la prima generazione di quei musulmani che avevano accettato l’indipendenza come necessità politica ma che, in realtà, non volevano recidere il cordone ombelicale col mode de vie francese, e fu per questo che si acconciarono a vivere nelle banlieue pur d’integrarsi pian piano nella società transalpina. Tale proponimento evidentemente non si è realizzato perché i nipoti di quegli immigrati sono ancora alla ricerca di un riscatto esistenziale possibile da ottenersi soltanto attraverso quella che essi rivendicano come superiore a tutte le altre: la religione.

Sicché la classe politica e dirigente francese oggi sta pagando lo scotto di non essersi accorta che nelle sue periferie non stava avvenendo la radicalizzazione dell’islamismo ma, semmai, l’islamizzazione del radicalismo sociale. La religione in tutto questo vi è entrata dopo, come propellente ideale, per connotare con “nobili” motivazioni quella che, in buona sostanza, è una matassa d’informi rivendicazioni sociali. In altre parole, se ai musulmani francesi di terza generazione si fosse dato una prospettiva, un progetto da realizzare, probabilmente molti di loro non sarebbero andati a fare apprendistato di terrorismo con l’ISIS.

Si aggiunga che i servizi e le forze di sicurezza francesi hanno dimostrato di far acqua da tutte le parti, visto che i terroristi fin qui eliminati o neutralizzati erano individui già schedati, cioè già noti a chi doveva tenerli almeno sotto controllo. Va anche detto, per amor di verità, che un terrorista ha un grande vantaggio su tutti i sistemi di sicurezza del mondo, anche i più sofisticati, perché chi, come, dove e quando colpire lo sceglie lui, esattamente come ha fatto Karim Cheurfi il 20 aprile.

Un’altra prova di questo oggettivo vantaggio operativo dei terroristi ci viene dall’Iraq dove, il 14 dicembre del 2008, durante una conferenza stampa tenuta a Bagdad dall’allora presidente degli USA George W. Bush, uno dei giornalisti presenti lanciò contro di lui, non una, ma due scarpe!

Come dire che uno dei servizi di sicurezza più efficienti al mondo aveva previsto tutto ma non un gesto di disprezzo che è antico quanto la cultura mediorientale e che risale addirittura alla Bibbia. Insomma le cibernetiche guardie del corpo del presidente provenienti da un Occidente dove, volendo, anche per trovare moglie basta cliccare su di una tastiera, furono messe in crisi da un paio di logore scarpacce. Questo episodio dimostra anche qual è il gap che devono colmare i servizi di intelligence occidentali nella lotta al terrorismo perché, avendo essi attagliato il modello di difesa all’ipotesi di una minaccia proveniente dall’esterno, si sono ritrovati pressoché inermi di fronte a un attacco proveniente, invece, dal loro interno.

Questo l’avevano capito bene i terroristi che organizzarono gli attentati dell’11 settembre del 2001 e, più recentemente, quelli in Francia, in Belgio e in Germania. Tali attentati, peraltro, per la loro relativa modestia tecnologica e per gli effetti devastanti che sono riusciti a produrre, dovrebbero indurre a qualche riflessione critica sulla preparazione monolitica delle forze di sicurezza occidentali.

Giunti a questo punto, vorremmo raffreddare un po’ l’entusiasmo di coloro che ritengono vincente la strategia adottata dal nostro Paese nel contrastare il terrorismo. Di che cosa stiamo parlando? Quale strategia passabilmente vincente potrebbe avere un Paese che i potenziali terroristi li va a prelevare direttamente sull’uscio di casa? Immagino che qualcuno oltre le mura leonine non sia d’accordo con questa disamina ma un giornalista, ancorché credente ed ex militare che con il terrorismo in qualche maniera ha avuto a che fare in passato, ha il dovere di analizzare il fenomeno con un’ottica “neutra” e non evangelica o razzista.

La verità, comunque la si giri, è molto semplice: l’Italia non ha vinto nessuna guerra al terrorismo integralista per il semplice fatto che tale guerra non v’è mai stata. La ragione di ciò è nel fatto che nel nostro Paese non esistono le banlieue francesi perché ci troviamo (ancora) al cospetto di un’immigrazione mobile, nel senso che coloro i quali arrivano in Italia hanno l’obiettivo di dirigersi verso il Nord Europa, sicché il nostro Paese si trova ad assolvere la funzione di testa di ponte. E chi tra gli islamisti potrebbe pensare di distruggerlo?

Possiamo stare abbastanza tranquilli, dunque, perché nessuna organizzazione terrorista di matrice islamista avrebbe interesse a compiere attentati in Italia, a tagliarsi l’erba sotto i piedi. I guai arriveranno quando i Paesi che ci circondano – e alcuni hanno già iniziato a farlo – tenteranno d’imbrigliare l’immigrazione con tanti lacci e lacciuoli che saremo costretti a tenerci in casa chi con masochistica perseveranza andiamo a prelevare nel Mediterraneo, senza aver prima stabilito un ordito di governo del fenomeno che ormai ha assunto dimensioni bibliche e, per molti aspetti, è già sfuggente ad ogni controllo.

Per rimanere nel lessico militare, quando l’Italia si trasformerà da testa di ponte a caposaldo dell’immigrazione nel Mediterraneo, col suo bravo corollario di tensioni e radicalismi religiosi, soltanto allora ci accorgeremo del disastro che abbiamo provocato con il nostro approccio dilettantistico con un problema che, fin dagli inizi, andava affrontato col disincantato metodo del realismo politico, con scelte coraggiose, che nessuno ha voluto fare quando andavano fatte. Ci sarà ancora tempo per farle? Questo la sa soltanto Dio.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login