I francesi hanno votato: si sono presentati alle urne il 78,8% dei cittadini. I candidati erano undici: al primo turno hanno guadagnato voti: Emmanuel Macron (23.8%) e Marine Le Pen (21.6%), che andranno al ballottaggio domenica 7 maggio, alla vigilia della ricorrenza dell’8 maggio che ricorda in Francia la fine della seconda guerra mondiale. Il candidato di centro- destra (MPR) Fillon ha riscosso il 19.9 dei suffragi ed ha subito dichiarato che al ballottaggio inviterà a votare Macron. Così pure il candidato del PSF (socialista) Hamon con il suo 6.3% di voti. Mélenchon (Partito di Sinistra) con il suo pacchetto di voti pari al 19.9% non ha espresso le sue intenzioni di voto per il ballottaggio.
Fin qui i dati certi. Ed ora i commenti che non intendono essere né esaustivi né tanto meno persuasivi.
Anzitutto un’osservazione sulla campagna elettorale che è stata sciupata perché l’emozione ha vinto sulla ragione e ha impedito un vero dibattito tra i candidati. Le primarie avevano permesso di far emergere dei confronti all’interno dei due partiti detti “di governo” (MPR e PSF): da una parte tra Alain Juppé e Francois Fillon e dall’altra tra Manuel Vals e Benoit Hamon. Due fatti inattesi hanno sconvolto il panorama politico francese: la candidatura di Emmanuel Macron, “l’enfant prodige” scoperto da Attali, socialista riformista con una visione economica liberale, che ha fondato il movimento “En Marche” (EM, acronimo di Emmanuel Macron) e la discesa in campo di Jean-Luc Mélenchon col suo partito di sinistra. Questi due avvenimenti hanno attirato l’attenzione più sulle curve dei sondaggi che sulla pertinenza o l’evanescenza dei programmi. Nessuno (forse, in modo più calzante Macron che ai suoi sostenitori diceva: ”Non ho un programma, ma una visione”!) ha tracciato un progetto per una generazione o definito il concetto profondo della persona, della società, dell’identità del paese, dei valori da difendere e da trasmettere, salvo, naturalmente, Marine Le Pen che nei suoi comizi invitava i suoi sostenitori ad appropriarsi della Francia, a chiudere le frontiere, ad uscire dall’Europa, finendo così di fare dell’immigrazione e della lotta al terrorismo un’offerta al mercato dei nazionalisti e degli xenofobi.
Alla vigilia del voto, Parigi è stata scossa dall’azione terroristica ai Champs-Elysées. Sembrava che la paura si fosse impossessata dei francesi e la Le Pen ne ha approfittato per sfruttare il panico e per chiedere agli elettori “di identificarsi con la Francia e con la religione di Giovanna d’Arco”. Si pensava che l’atto terroristico avrebbe portato consensi al Front National. Ciò non è avvenuto e i francesi hanno dato prova di non dar retta ai proclami funesti della novella pulzella, andando a votare in massa (quasi 8 cittadini su 10!).
Il primo dato da sottolineare è che il voto ha sconvolto il panorama politico francese: i due partiti tradizionali – la destra gollista, cattolica fondamentalista, conservatrice, guidata da Fillon, e la sinistra socialista del candidato Hamon – hanno conquistato assieme poco più del 20%, ciò significa che solo un elettore su cinque ha votato per i vecchi partiti della quinta repubblica. Questa logora coppia (destra e sinistra) è stata sostituita da nuove aggregazioni politiche unite non più in base a posizioni dogmatiche, ma in base ai problemi da risolvere, anche se la cultura politica francese può vantare dei “maitres à penser” come Aron, Gluksmann, Morin, Ricoeur, Brague eccetera. I “destri” e i “sinistri” democratici hanno formulato la complessità e la novità dei problemi non in base ad una visione ad un programma che su per giù dice le stesse cose, ma in base ai fini immediati che chiedono i loro elettori.
Si sono formati così due schieramenti: gli ottimisti e i pessimisti, i liberali-riformisti e i populisti. I primi vogliono cambiare il vecchio sistema, i secondi lo vogliono abbattere. I primi sono “per”, i secondi “contro”. I primi riconoscono il sistema rappresentativo repubblicano, i secondi giocano la carte dell’antisistema.
Emmauel Macron, l’uomo dell’ottimismo e della speranza, si confronterà al secondo turno con Marine Le Pen. È un politico anomalo, inusuale per la Francia: è un uomo del nord. È nato a Amiens, in Picardia, nota per avere la cattedrale più grande di Francia. Proviene anche lui dall’Ecole Nationational d’Administration (ENA), ma non ha mai vissuto, al contrario della maggioranza dei politici francesi, esperienza amministrativa sul territorio ed è divenuto in giovane età ministro dell’economia del governo socialista. Dimessosi da ministro, ha fondato il movimento politico che è (en meme temps” – come egli stesso ama dire) contemporaneamente liberale in economia e socialista. Nella sua visione politica, egli tenta di conciliare la politica economica fondata sul mercato con quella sociale. Davanti alla folla dei suoi sostenitori che lo applaudivano festanti al grido di “Macron président!” e di “On va gagner!”, si è impegnato a camminare assieme per riunire tutti i francesi, per recuperare i delusi, per affrontare le sfide del nazionalismo bieco, dell’ecologia, dell’educazione e della scuola. È un europeista convinto e desidera far cambiare rotta all’attuale politica dell’Europa, ma non battendo i pugni sul tavolo, bensì trovando interlocutori e contando soprattutto sull’appoggio della Germania, ricordandosi che la pietra angolare della costruzione europea è rappresentata dalla conciliazione franco – tedesca.
Ancora prima che si conoscessero i risultati definitivi, il candidato Fillon gli ha assicurato l’appoggio del suo partito al secondo turno (“l’astensione non mi appartiene…bisognerà votare contro l’estrema destra orgogliosa, legata dall’odio”), lo ha seguito il compagno del suo ex partito Hamon e, il giorno dopo, anche il presidente Hollande gli ha assicurato il suo appoggio.
Macron dovrà sfidare Marine Le Pen, che è in testa nella maggioranza dei dipartimenti. Essa rappresenta il pessimismo, il malcontento cupo e spaventato, trova i suoi consensi tra la Francia contadina e dimenticata, si rivolge al popolo citando De Gaulle: ”La grandezza di un popolo si basa sul popolo”, è contro la globalizzazione, contro la libera circolazione che accusa di essere importatrice di terroristi. La sua proposta antieuropeista non è stata accettata così come è avvenuto in Austria e nei Paesi Bassi, ma alle prossime legislative potrebbe rappresentare l’unica, vera opposizione
Tra il primo e il secondo turno, Macron dovrà temere la scarsa partecipazione, un eventuale sciagurato atto di terrorismo e la pubblicazione di un reale o fasullo dossieraggio sulla sua vita privata (i cattotalebani sono scandalizzati per i 24 anni di differenza d’età tra la signora Macron e il marito, ma nessuno fiata per i 26 tra Trump e la moglie!).
Se eletto, come sembra molto probabile, Macron troverà difficoltà per formare il governo, nel quale personalmente auspichiamo che entri per interessarsi degli affari europei Sylvie Goulard. Ma molto più arduo per Macron sarà trovare un equilibrio tra la concorrenza del libero mercato e la solidarietà. Nell’ultimo decennio il capitalismo e la globalizzazione non governata hanno portato all’ingiustizia sociale e al dispotismo finanziario anche in Francia. È avvenuto così anche nei paesi ex – sovietici dove il ritorno al capitalismo ha dato loro una certa prosperità, ma a scapito dell’ingiustizia sociale.
Intanto, l’Europa ha tirato un respiro di sollievo. Giungerà al più presto anche il momento in cui non ci si accontenterà più delle discussioni tra governi ma si includerà nell’integrazione europea soprattutto gli uomini?
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