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Primi vagiti del referendum che le regioni Lombardia e Veneto a ottobre vogliono indire per chiedere maggiore autonomia allo Stato.
Che la Roma politica sia la grande ladrona della Penisola all’incirca da 2000 anni lo ricordano con molta diplomazia i testi di storia di tutte le scuole dell’attuale regime repubblicano. Già, la nostra giovane repubblica prima comunque a percorrere la strada della democrazia dopo secoli di genuflessioni a re, imperatori e dittatori per definizione nemici dei valori e dei diritti delle libere comunità che oggi conosciamo.
2000 anni che hanno avuto squarci di luce e di gloria grazie a fenomeni come per esempio le signorie, le repubbliche marinare e autentici geni della scienza e dell’arte che sono nella storia dell’umanità.
Un referendum contro Roma dovrebbe raccogliere adesioni tra la nostra gente: raramente essa dedica attenzione alle vicende politiche di casa sua e al massimo dà corpo a un silenzioso dissenso solo al momento dei voto.
La folcloristica ribellione nazionale della prima Lega, quella di papà Bossi, contro Roma e i terun ha visto la sua definitiva tumulazione nei giorni scorsi con l’occupazione, per niente simbolica, di Pontida da parte di un piccolo esercito di pacifici meridionali. C’erano anche quelli che con il loro lavoro hanno fatto grande la Lombardia e pure la nostra cara Varese. A Pontida non sono mancati i professionisti della rivolta contro lo Stato, per l’occasione non scatenati, come spesso accade, nella ricerca del martirio sotto forma di randellate da parte della gioventù più atletica delle forze dell’ordine. Ovviamente non c’erano nemmeno gli squadroni degli intellettuali delle valli bergamasche e bresciane che Bossi indicava come risorsa militare della Lega della prima ora.
Sepolto per fortuna un passato farsesco la sua parte, la nuova generazione leghista, che cerca pure di stare alla larga,quando è possibile, dalla piccola resurrezione di Arcore, vuole completare la propria risalita con un referendum per dare più autonomia al popolo lombardo.
Per le singole realtà locali della nostra regione è l’ occasione per un primo bilancio – il secondo ci sarà con le elezioni regionali del 2018 – di come e quanto abbia il Centrodestra servito le singole comunità durante la legislatura. Questa valutazione ci sarà anche a Varese dove però si è registrato un clamoroso precedente già l’anno scorso alle elezioni amministrative dove il Pd, pasticcione la sua parte nella ricerca di alleanze, rivelatesi poi inutili e per certi versi non apprezzabili, ha pensionato i soggiornanti lumbard e forzisti di Palazzo Estense. dopo anni 23 di parole e fiabe. Il test elettorale d’autunno avrà per la bosina gente anche altri aspetti: ben delimitato alla città il voto sarà infatti anche una prima indiretta verifica dell’attività della nuova giunta comunale, sarà inoltre un controllo severo delle eventuali azioni riparatrici della giunta regionale nei confronti di una città che, indicata come capitale della Lega, non ha più spazi sulle natiche per accogliere altri calcioni sferrati dai cari amici di Palazzo Lombardia per togliersi dai piedi dei noiosi provinciali.
Una pratica quella della pedata che per la verità ha visto applicarsi più i forzisti che la Lega, comunque campione di silenzi e indifferenza. Mutismo che a lungo ha visto in prima linea anche il Pd regionale, affacciatosi a Varese, dove il partito da sempre lottava, solo quando c’è stato da raccogliere il frutto del lavoro svolto dalla tenace fanteria da sbarco locale.
Con il referendum ci sono dunque più poste in gioco e a puntare molto sulla roulette del voto c’è lo stesso governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che capolista alle amministrative di Varese non ha raccolto un gran numero di preferenze. Sarebbe utile, da qui a ottobre, una inversione di tendenza che sembra di rigore e può avvenire nel segno della chiarezza e di qualche decisione saggia su problemi che hanno visto Varese trascurata da Milano.
Non sto a elencare ora situazioni arcinote che ho segnalato anche in questa rubrica, accenno però al nodo che riguarda una annosa contesa tra medici al Circolo, già apparsa in formato baby nelle cronache cittadine.
Una vicenda di per sé pesantuccia in particolare sotto il profilo dell’immagine, ma che è aperta da anni e vede tutte le realtà implicate in un surplace da grandi pistard. Solo che Università, ospedale, politica e magari anche ordini professionali non possono attendere per anni le decisioni della magistratura rinunciando ai loro poteri legittimi. Siamo inoltre di fronte a situazioni di ambito pubblico e non privato essendo la tutela della salute primario servizio dato da Stato e Regione, di conseguenza è ammesso se non doveroso il diritto di critica,al pari di quello delle contestazioni nelle sedi appropriate da parte di coloro che sono personalmente interessati.
In un clima nazionale come quello attuale anche se la vicenda è antica qualche rischio politico potrebbe esserci oggi addirittura anche per Roberto Maroni che proprio non c’entra nulla.
Sarebbe il colmo se i poteri forti, che sembrano in piena azione, riuscissero a dirottare l’attenzione su Number One, magnifica preda in questa vicenda che può diventare dirompente svolgendosi nell’ ambiente della grande scienza e in una città alla fine del secolo scorso ancora all’avanguardia nella sanità.
Poi arrivarono Formigoni e il Centrodestra con le loro riforme.
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