“Ricordati di santificare le feste”, dice il terzo comandamento secondo il Catechismo della Chiesa cattolica. Un comandamento che deriva direttamente dalle Sacre Scrittura: si afferma infatti nell’Esodo: Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
Un precetto chiaro e severo: ai tempi di Gesù, con un’interpretazione dogmatica della legge, non era permesso nemmeno fare miracoli nel giorno di sabato.
Nella tradizione cristiana la domenica è diventata “il giorno del Signore”, il momento della liturgia e della comunione; non solo il giorno del riposo, ma soprattutto quello della celebrazione, della preghiera, della vita in famiglia e delle relazioni.
Non ci si può tuttavia nascondere che in una società complessa come l’attuale la regola del riposo domenicale non possa che avere delle eccezioni. Vi sono servizi di utilità generale che si possono ridurre, ma non fermare nemmeno nelle festività. Da infermieri e medici negli ospedali agli addetti ai trasporti pubblici, dalla polizia ai giornalisti, dai casellanti ai controllori di volo, dai cuochi ai camerieri dei ristoranti, vi sono migliaia di persone che sono chiamate a garantire servizi che in molti casi devono funzionare sette giorni su sette.
Su questo fronte i problemi sono soprattutto contrattuali perché a questi lavoratori va comunque garantita la possibilità di avere regolari giornate di riposo oltre alle normali indennità.
Ma da qualche tempo si allarga sempre di più l’area interessata al lavoro domenicale. Soprattutto nella grande distribuzione, nei centri commerciali, nelle moderne cattedrali del consumo aumentano le richieste di aperture domenicali, magari anche a Natale e a Pasqua. Aperture giustificate, in teoria, dalla possibilità di offrire la possibilità di fare acquisti nei giorni in cui hanno tempo libero la maggior parte dei lavoratori. E sostenute dalla promessa di nuove assunzioni, il che in un periodo di crisi non può che essere bene accetto. Aggiungendo poi sottovoce che, in fondo, nessuno è obbligato a andare nel centro commerciale la domenica: è come offrire una possibilità di libertà in più ai cittadini-consumatori.
Già, la libertà. Non certo quella di inservienti e commessi che se non accettassero di lavorare la domenica vedrebbero a rischio il loro posto di lavoro. Non certo quella dei piccoli negozianti che sono sempre più minacciati dalla concorrenza dei grandi centri. È significativo che la decisione del più grande outlet italiano di aprire anche a Pasqua sia stata accolta con uno sciopero da parte dei lavoratori.
Perché il problema di fondo non è tanto quello del contratto di lavoro o delle liberalizzazioni del commercio. Il problema è il considerare il consumo al centro della vita sociale, un centro a cui si possono sacrificare altri valori e altri interessi. Sembra di vivere in una società delle offerte speciali, degli sconti, del comprare per apparire. Gli outlet come nuovi centri di aggregazione, come luoghi dove riscoprire la solitudine delle masse. Il carrello della spesa come espressione della propria forza.
C’è qualcosa di malinconico in questo esodo verso le nuove città dei cento negozi, dove più si spende e più si risparmia, dove i saldi e le occasioni fanno sembrare tutto a portata di mano. C’è qualcosa di vagamente triste nell’affannosa ricerca di un posteggio, nelle code alle casse, nell’inseguire in qualche scatolone di cartongesso trasformato in negozio il modo di far passare il tempo.
L’umanità della bellezza, della gioia, della famiglia e della comunità dovrebbe avere un’altra idea della domenica. Non solo (ma anche) per andare a messa: tanto che anche la Chiesa ha dato la possibilità di anticipare al sabato il precetto festivo. Ma soprattutto per lodare Dio e la sua creazione: ammirando il panorama, guardando il cielo, respirando l’aria delle montagne, leggendo un bel libro, ascoltando l’armonia della musica e del canto. Riscoprendo il fascino del riposo.
Non è un problema di libertà, è un problema di civiltà, di valori condivisi, di relazioni costruttive.
Comunque queste polemiche sul lavoro domenicale nei grandi magazzini sono anche un segno della necessità per questi grandi centri di lottare contro il proprio declino. Perché già ora si stanno rivalorizzando i negozi di prossimità e soprattutto sta crescendo quel commercio elettronico che permette di fare la spesa nel momento in cui vogliamo e comparando le offerte di mille produttori diversi. Riscopriamo le tradizioni e sfruttiamo le occasioni della rivoluzione informatica. E pensiamo che anche l’economia deve avere un limite, un confine oltre il quale è più che giustificato dire di no.
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