ti scrivo dalla Bulgaria. O meglio, da quel luogo che per qualcuno è da considerarsi “bulgaro”. Tuttavia, per non suscitare alcuna forma di irritazione tra i lettori bulgari del tuo giornale e per non indurre alcuno a pensare che io possa nutrire sentimenti men che benevoli verso quella terra (la Bulgaria è il paese che io amo!), da qui in avanti mi riferirò al posto in cui momentaneamente mi trovo chiamandolo Politilandia.
Dunque, caro Direttore, come sai, sono atterrato a Politilandia all’incirca nove mesi fa. Come ogni viaggiatore giunto in una terra che gli è estranea, ho iniziato a prendere contatti con gli indigeni, con le loro usanze e con la loro lingua. Non è stato facile…
Alcune usanze sembrano in realtà molto simili alle nostre. Per esempio, anche a Politilandia si è soliti salutare stringendo e scuotendo le mani. Ma a Politilandia questa usanza è decisamente più diffusa che da noi: dovunque ci si incontri (e le occasioni di incontro, qui, sono numerosissime), c’è sempre qualcuno che ti stringe e ti scuote virilmente mano ed avambraccio. Tale abitudine richiede un certo allenamento. Dopo una prima tendinite, ora ho imparato anch’io la tecnica e stringo e scuoto mani con grande scioltezza.
A Politilandia le occasioni di incontro, come ti dicevo, sono innumerevoli. Ci si ritrova, in gruppi più o meno numerosi, in occasioni pubbliche e private. Lì chiamano queste occasioni «Riunioni di maggioranza» o «di coalizione», «Commissioni», «Consigli», «Conferenze dei Capigruppo». Ma si è soliti anche ritrovarsi in gruppi ristretti in locali pubblici, uffici, corridoi, studi privati, sotto dei porticati o in pubbliche piazze. Ogni incontro è sempre preceduto da un momento in cui ci si sorride e ci si scuote vicendevolmente le mani. La domanda ricorrente è: «Come va?» oppure «Tutto bene?», alle quali si risponde abitualmente: «Bene, grazie» oppure «Tutto bene, grazie». Ma una volta che ci si siede intorno ad un tavolo o ci si dispone, nelle occasioni più importanti, in spazi personalizzati (ché ognuno ha un posto riservato segnalato da una targhetta con cognome e nome), la cordialità scompare. Si assume un atteggiamento maschio e fiero (questo vale anche per le donne), che talvolta fa salire i toni sino all’insolenza. Poi, però, quando ci si alza dal tavolo o si abbandona il proprio spazio personalizzato, tutti ritornano cordiali e non di rado anche simpatici e amichevoli. Anche questi repentini mutamenti di atteggiamento e di umore richiedono un lungo allenamento.
Quando gli incontri sono pubblici («Commissioni», «Conferenze dei Capigruppo», «Consigli»), sono sempre presenti degli spettatori. Tra questi ce ne sono anche alcuni che vengono chiamati, come da noi, giornalisti. Costoro sono sempre impegnati a raccogliere fogli scritti dai partecipanti a queste riunioni. I fogli che raggiungono i giornalisti vengono chiamati «Comunicati stampa». Spesso i giornalisti sono destinatari anche di lettere e comunicazioni da parte di coloro i quali svolgono il ruolo di allenatori o suggeritori di coloro che parlano. Sempre più frequentemente capita che tutta questa gran massa di pagine scritte sia resa pubblica dai giornalisti così com’è. E a volta non si capisce bene la differenza tra una dichiarazione ed una notizia. Ma non si pensi che i giornalisti di Politilandia siano pigri. Anzi. Sono sempre alla ricerca di ciò che chiamano «notizia». Purtroppo, a Politilandia non sempre accadono cose notevoli. E così, quelli che lì si chiamano giornalisti si arrabbiano, scalpitano e cercano di provocare qualche reazione che possa tradursi in una «notizia».
Perché non ti ho ancora detto, caro Direttore, che a Politilandia la vita si consuma all’interno di squadre. C’è una squadra che si chiama «La Maggioranza» ed un’altra che si chiama «L’Opposizione». In realtà la situazione è un po’ più complicata, perché anche all’interno delle due squadre ci sono altre squadre, piccoli raggruppamenti, correnti e fazioni. Quando ci si ritrova nello spazio in cui le due squadre si confrontano, si scatenano strane reazioni (di cui non mi è ancora ben chiara la causa): c’è infatti sempre qualcuno che, forse per paura di scivolare nell’oblio, sente il bisogno prepotente di parlare. Pronunciando spesso parole a casaccio. Ti confesso, caro Direttore, che anch’io, qualche volta, mi sono trovato a prendere la parola, quasi sospinto da un istinto irrefrenabile e senza avere pienamente il controllo di quanto andavo dicendo. (Ho iniziato a sospettare che l’acqua, di cui siamo continuamente riforniti durante questi incontri, debba essere in qualche modo alterata.)
Comunque, dopo aver parlato, l’importante è che ciascuno dei giocatori faccia arrivare la propria voce al di là dello spazio di gioco. Perché è là che sono seduti, accanto a tifosi, parenti e amici dei giocatori, anche i giornalisti. Se questi sono, per qualche ragione, distratti, i giocatori si attivano subito per fargli giungere un foglio di carta scritto, che, come dicevo, viene chiamato «Comunicato stampa». Quando viene reso pubblico (solitamente il giorno successivo) il testo del «Comunicato stampa», eventualmente arricchito dalla foto del suo autore, questi, che per un momento aveva temuto di scivolare nell’oblio, riscopre la gioia di vivere ed il buon umore ed inoltra a tutti, amici della propria squadra o avversari della squadra opposta, copia di quanto è stato pubblicato. Da questo deduco che, anche se non si occupano sempre di fatti, come accade da noi, i giornalisti di Politilandia svolgono sicuramente una nobile funzione sociale.
Ora, quando sono sbarcato a Politilandia, sono stato arruolato nella squadra chiamata «La Maggioranza». Ho scoperto che, prima di discutere pubblicamente (negli spazi, cioè, riservati al confronto tra le due squadre), i componenti della squadra «La Maggioranza» si incontrano per condividere quella strategia, che dovrà poi essere seguita durante il gioco. Se qualcuno avesse osservazioni da fare sulla strategia e sugli obiettivi o volesse dare un contributo alla strategia e migliorare gli obiettivi di gioco sarebbe meglio lo facesse in quella fase preparatoria. Perché poi, alla fine, il gioco consiste nel tenere in vita la squadra «La Maggioranza». Cioè, se durante le partite alcuni giocatori della «Maggioranza» cambiano squadra e indossano la maglietta della «Opposizione», la «Maggioranza» perde e si inizia un nuovo torneo con nuove formazioni. Anche perché gli obiettivi della squadra sono stata discussi, messi a punto e condivisi in una lunghissima e faticosissima fase, che di solito precede l’avvio di ogni campionato. So che può sembrare tutto molto complicato, ma qui funziona così.
Mi dicono che qualche studioso avrebbe trovato importanti analogie tra questo gioco e antiche tradizioni ludiche originariamente praticate in Bulgaria. Io, questo, non posso saperlo. So che faccio parte, per il momento, di una squadra, che cerco di rispettare le regole di Politilandia, che talvolta anche i miei modesti contributi al gioco di squadra sono stati accolti e questo mi ha portato a perseguire nel ruolo che mi è stato assegnato. E tutto questo l’ho fatto e lo faccio tentando di usare quello strumento che in quasi tutti è collocato sopra le spalle, e cioè la testa. Qualora dovessi decidere, sempre autonomamente, di cambiare squadra, non esiterò a farlo sapere. Ovviamente per mezzo di un bel «Comunicato stampa».
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