Ci tocca una provvidenziale/augusta sorte: d’essere a un cortissimo amen da Milano. Una città di forte impronta internazionale, arrembante crescita produttiva, fascinosa offerta culturale. Pur se barba non facit philosophum, Briatore sentenzierebbe: è il top. Ma lo sentenzia chiunque abbia la ventura di frequentare, pur se occasionalmente, un luogo marchiato da inedite architetture, orgoglioso della sua storia, capace di mischiare passato e presente in proiezione futura.
Per dire: dalle parti della gloriosa e popolare “Isola” trovano posto, nel grumo di grattacieli attorno a Porta Nuova, le prime tre banche italiane. Oppure: la ricchezza pro capite risulta doppia della media nazionale. Ancora: il turismo ha segnato un avanzamento del trenta per cento negli ultimi cinque anni. Infine: musei e altri siti d’arte da un quadriennio registrano più visitatori di quelli di Roma.
Insomma, Milano merita il riconoscimento/ruolo di simbolo d’un Paese in cui, accanto a molto che va male, c’è qualcosa che va bene. E andrà ancora meglio, perché si gioverà della fuga di capitali dall’Inghilterra del dopo Brexit. Nei fortilizi economici di Germania, Francia et alias ci si appresta alla spartizione del bottino, e attorno al Castello Sforzesco non si starà a vedere. Si brigherà per partecipare. Non a caso il sindaco Sala e il presidente della Regione Maroni han reso visita istituzionale proprio a Londra allo scopo d’ingraziarsi coloro che decideranno la sede continentale della nuova casa dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco. L’idea/progetto è d’allocarla a Rho, sul sedime che fu dell’Expo. Il progetto, se realizzato, porterà denari, occupazione, avanguardia tecnologica e scientifica, un indotto importante eccetera.
Varese che c’entra in tutto questo? C’entra zero, allo stato delle cose, a parte la presenza del Campo dei Fiori nel profilo della new town verticale visto dalla Madonnina del Duomo. Potrebbe tuttavia c’entrarci assai, qualora riuscisse ad attivare un’armonia politica/istituzionale in grado di renderla partecipe della trasformazione epocale di Milano. I modi, come ognuno intuisce, possono essere tanti. Le persone sembrano quelle giuste. Galimberti è sindaco della stessa sponda partitica di Sala. Maroni siede nel Consiglio comunale bosino guidato da Galimberti. Maroni e Sala stanno proponendo un felice gioco di squadra. Perché Galimberti non ne dovrebbe suggerire di analogo a Sala e Maroni insieme? Il secondo ha già mostrato generosa disponibilità nei confronti di Varese, il primo l’ha promessa durante la campagna elettorale dell’omologo bosino.
Milano ha ritrovato/valorizzato la sua élite, scrivono su carta e web autorevoli commentatori. Varese sta cercando di ritrovarla, dichiara spesso e ovunque il suo primo cittadino, che la vuole valorizzare. L’élite non è la crema, talvolta di gusto acido, d’una società ossificata. È la schiuma d’una comunità agile, che s’è rimessa a pensare, intraprendere, realizzare. Dove ciascuno, di qualunque ceto sociale e talento lavorativo, deve fare ottimamente il proprio. E per farlo, non perde le occasioni d’oro. Milano ne offre una a infiniti carati. Ecco perché è l’ora (o mai più) di darsi una mousse mettendosi nella scia del mediolanensis’ karma.
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