La Roma che conosco, si sveglia alle quattro e un quarto. Come me non si abitua mai e tutte le mattine, nonostante gli anni, il cellulare è una lama di suono nel fitto di un sogno o nella dolcezza di un dormiveglia.
A quell’ora le strade sono deserte. Qualche tiratardi di ritorno da una festa, un bus urbano delle linee notturne con tre extracomunitari a bordo, i furgoni che dalla campagna portano verdure e latte in città.
Il primo appuntamento è con la volpe di Viale Vaticano. Da qualche mese ha imparato che ai piedi delle mura michelangiolesche gettano immondizia. Si aggira spelacchiata come un grosso gatto randagio. Fruga con il muso tra i sacchetti. La guardo dalla macchina: per nulla impaurita anzi un po’ snob, risale agile verso Villa Pamphili.
Svoltando a sinistra per via Candia si intravede la sagoma del mercato dei fiori. All’alba è uno dei pochi luoghi animati. Da anni si dibatte sulla necessità di spostarlo in un luogo meno trafficato, ma segno dell’immobilismo che permea la capitale, resta sempre li come uno sgangherato transatlantico in mezzo al quartiere Trionfale. Intorno i baretti sono aperti: gli autisti dei Tir che arrivano dall’Olanda si fanno un caffè corretto. L’ingresso sarebbe riservato solo agli operatori del settore ma il guardiano assonnato chiude un occhio e, se hai tempo prima del lavoro, puoi combinare qualche buon affare.
Via della Giuliana ti porta dritto nelle fauci di piazzale Clodio. Qui, dove di giorno ci si muove alla velocità di una lumaca, ci sono solo alcuni bus al capolinea. Il parcheggio è deserto. La città giudiziaria (anzi Citta senza accento come recita il cartello) ovviamente è ancora chiusa. Tra poche ore una anonima calca di avvocati, cittadini, poliziotti, magistrati darà vita a un’altra puntata di “Un giorno in Pretura”.
Imbocco la circonvallazione verso il raccordo: sulla sinistra la collinetta di Monte Mario con l’Osservatorio e l’antenna Rai, a destra dopo un po’ il Tevere. La Madonnina dorata (in realtà alta venti metri) veglia materna sulla città. Una tromba d’aria dieci anni fa l’aveva abbattuta. A furor di popolo è stata rimessa al suo posto e benedetta.
Alcuni capanni, di fronte all’astronave dello stadio Olimpico, sono aperti tutta la notte. È una tappa obbligata per il primo dei tanti caffè della giornata. Il barista rumeno ormai mi conosce e prepara l’agognata tazzina prima ancora che abbia spento il motore. C’è sempre una folla variopinta di ragazzi che arrivano da ponte Milvio. Qualcuno ha bevuto troppo. Altri litigano. Ogni tanto una pattuglia della polizia provoca un fuggi fuggi generale.
L’inizio della Flaminia segna la fine della città come la conosciamo. Ora è solo campagna, baracche di nomadi, alberi quasi scheletrici, canneti. Il tracciato della ferrovia lambisce la strada ma a quest’ora è ancora deserto. Pompe di benzina. Un chiosco di fiori è aperto e in tanti ci si domanda come mai Roma sia piena di rivendite ‘verdi’ no stop. Sono fiorite (appunto) mille ipotesi. Magari ai proprietari conviene dare qualche euro a un indiano piuttosto che spostare avanti e indietro ogni giorno piante e vasetti in un magazzino.
A destra il grande deposito di Atac: decine di pullman percorrono già la consolare in senso inverso per raggiungere le linee assegnate. Poco dopo analogo spiazzo per il capolinea Cotral. Qui invece partono i mezzi che collegano la provincia. I motori sono accesi e tante auto di autisti già parcheggiate.
Saxa Rubra, centro Rai. Svolta a destra e poi un rettilineo a sinistra. Si intravedono i grandi anonimi e squadrati palazzoni costruiti sulla base di un progetto per un carcere. Lungo questo rettifilo non di rado capita di frenare bruscamente davanti a un gregge di pecore sbucato all’improvviso dalla nebbia. Una volta un cavallo.
Parcheggio aziendale. Strisciata del badge: sono le cinque e dieci. La prima riunione di redazione è tra venti minuti. Da allora in poi diventiamo solo voci che arrivano nelle case e negli abitacoli dei tanti che ancora accompagnano l’inizio della giornata con la radio… Buon giorno Italia!
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