Volevo raccontarvi il mio viaggio nello Sri Lanka, ma un’esperienza inattesa mi ha fatto cambiare idea: sabato 1 aprile ho partecipato ad una visita culturale di Italia Nostra a Cremona. Città bellissima, ricca di storia e di arte, ma soprattutto la città dei liutai. Imperdibile il Museo del Violino, la meta più interessante di tutta la giornata, il luogo di quell’esperienza inattesa.
È già un’emozione “entrare” in un violino, scoprire che da un pezzo di legno, lavorato fino ad essere ridotto a tre millimetri di spessore si possono trarre suoni celestiali. Ancora di più lo è trovarsi “faccia a faccia” con un Amati, un Guarneri o con “il Cremonese” di Stradivari, ammirarne da vicino la fattura, rilevare la preziosità dei dettagli; e sapere che sono vivi, che suonano ancora in tutto il mondo tra le mani esperte di artisti famosi.
Ma il momento più coinvolgente è stato quello dell’audizione. Il museo, infatti, comprende anche un auditorium, dove i visitatori possono ascoltare giovani talenti esibirsi con uno degli strumenti esposti. È uno spazio caldo e accogliente, dove domina il legno: cedro giallo dell’Alaska per il palcoscenico, che è al centro della scena, ed acero color miele per le parti destinate al pubblico. Le linee morbide e sinuose dell’architettura simboleggiano ed accompagnano le onde sonore. Un gioiello ingegneristico e architettonico. Acustica perfetta. Si potrebbe sentire la classica mosca che vola.
Entra la violinista. Si presenta: “Mi chiamo Clarissa e ho 15 anni”. “Certo. – penso – È una esibizione per turisti, hanno scelto una studentessa alle prime armi”. Clarissa non sembra percepire il mio (il nostro?) scetticismo. Con disinvoltura, in italiano e in inglese, ci presenta il violino che le è stato consegnato da due attenti custodi – lo Stradivari “Vulcano” – e ci comunica quali brani si accinge a suonare.
Poi inizia. E all’improvviso ci sono solo lei e Stradivari. La mano che vola sulla tastiera, nessuno spartito, gli occhi chiusi, l’espressione del viso che accompagna le note. La magia. Per mezz’ora ci conduce in un immaginario viaggio attorno al mondo, le cui tappe sono scandite da brani di compositori di vari Paesi.
E tutti noi diventiamo musica.
La osservo: l’esile corpo da adolescente avvolto in un abito nero scollato da concertista adulta, le scarpe lucide con un accenno di tacco, i capelli neri lunghi a stento trattenuti da un cerchietto brillante. Sbircio la brochure che ci hanno consegnato all’ingresso: Clarissa Bevilacqua ha già calcato i palcoscenici di mezzo mondo, ha ottenuto prestigiosi premi nazionali ed internazionali. Mentalmente la paragono agli stuoli di suoi coetanei perennemente concentrati sui loro smartphone. E mi commuovo. E no, non posso piangere, lasciarmi andare in modo così plateale! Mi trattengo e riesco ad arrivare pressoché indenne alla fine dell’audizione. Conclusa la quale, Clarissa si dice pronta a rispondere alle nostre domande.
Da quanti anni suona? Da quando ne aveva cinque. Quanto studia? Cinque o sei ore al giorno. Quali sono i suoi autori preferiti? Bach e Tchaikovsky. Percepisce la differenza tra uno Stradivari e un violino moderno? Sì, quando riprende il suo strumento dopo aver suonato uno Stradivari ha sempre 10 minuti di depressione. Riesco a definirla solo con un aggettivo, che a ben vedere è un ossimoro: s-concertante.
Uscendo dalla sala, dico ai miei compagni di viaggio che stavo quasi per piangere. E ognuno di coloro che hanno sentito il mio commento, uomini compresi, mi risponde “Altro che ‘quasi’, io ho pianto senza ritegno!” E una volta di più, se ce ne fosse bisogno, percepisco il potere della bellezza.
Dello Sri Lanka, un’altra bellezza, vi parlerò la prossima volta.
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