Principe Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio, conte Palatino, nobile, altezza imperiale, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro, di Epiro, duca di Durazzo e Drivasto. Ebbene, credo non siano molti oggi a sapere che il portatore di questa sfilza di titoli nobiliari fosse uno dei più grandi comici italiani di tutti i tempi: Totò. Sull’essenza di “comico” poi, riferito al principe della risata, ritorneremo più avanti.
Per entrare subito nel vivo della figura di Totò bisogna partire dal contesto in cui si formò la sua personalità umana e artistica, un contesto unico al mondo, dove il sole risplende 270 giorni all’anno e il cui nome viene declinato in tutte le lingue: Napoli.
D’altronde, sarebbe difficile immaginare un Totò milanese, o piemontese, o valdostano… Eppure quei raggi non sono mai riusciti a entrare in molti dei Vasci del rione Pendino, della Maddalena o della Sanità, creando un’atmosfera di luci ed ombre, dove la farsa si sposa con la tragedia. Totò vide la luce proprio nel rione Sanità una manciata di anni dopo la grande epidemia di colera che aveva fatto ottomila morti solo a Napoli.
Un grande attore comico nato in una città tragica dunque? Proprio per niente. Semmai predestinato, perché chi nasce a Napoli si trova, fin dai primi vagiti, scaraventato su di un palcoscenico a cielo aperto, dove la farsa e il dramma si toccano così da vicino che non si capisce dove finisca la prima e dove inizi la seconda. È su questo palcoscenico posto tra il Vesuvio, le colline del Vomero e il mare, signori e signore, direbbe l’interessato, che il 15 febbraio del 1898 iniziò una rappresentazione che sarebbe durata 69 anni. La sua vita.
Il capoluogo campano e il suo circondario, in realtà, hanno dato i natali a molti attori comici, ma ognuno di essi non ha fatto altro che interpretare Napoli e i suoi luoghi comuni. Totò, invece, è riuscito a riproporre in ottica partenopea i tanti vizi, i tic e le virtù di tutta l’Italia: l’industriale ruspante e vanaglorioso, Aristide Paoloni, dal film Il coraggio, è il prototipo del cummenda di quegli anni; il deputato donnaiolo e mendace, l’onorevole Cocchetelli di Un turco napoletano, potrebbe essere un personaggio emblematico della politica italiana di oggi. E quante volte sulla nostra strada abbiamo avuto la disgrazia d’incontrare il prevaricante Colonnello Black di Siamo uomini o Caporali?
Siccome Totò era solito stravolgere i copioni, o addirittura non tenerne per nulla conto, improvvisando sul set gag e battute, qualche critico lo ha accostato alle Fabulae Atellanae che per struttura, stile, e personaggi non erano paragonabili alla sua arte se non per l’improvvisazione cui ricorrevano gli attori. E poi, un’Atellana (da Atella, una cittadina osca a qualche chilometro da Napoli dove lo scrivente è nato) si strutturava su di quattro personaggi, su quattro diversi tipi umani: il mangione sciocco Maccus, il vecchio rimbambito Pappus, lo smargiasso Bucco e il gobbo furbo Dossennus. Ebbene – ed è qui la grande differenza – recitando a soggetto Totò sarebbe stato capacissimo d’interpretare da solo, e contemporaneamente, i quattro classici tipi dell’Atellana. E lo dimostrerà nel film Totò diabolicus, in cui di tipi umani il nostro ne interpreta ben cinque!
Più che nello scollacciato teatro osco, dunque, l’arte del principe de Curtis affondava le sue radici nel senso tragico della vita, lo stesso che avevano i suoi progenitori greci, sebbene temperato dall’indole godereccia esportata successivamente a Napoli dai romani. Oddio, sul tragico e sul comico neppure i cosiddetti esperti hanno le idee chiare anche se, secondo noi, la comicità di Totò si potrebbe definire così: l’intelligente capacità di restituire al pubblico, sotto forma di risata, vizi e difetti propri dell’animo umano, sino a farne spunti di successiva meditazione per gli spettatori.
Anche se all’epoca dell’uscita di questi film data la nostra giovane età non ci accorgemmo quali fossero i temi affrontati da Totò nella trama, la maggior parte di essi reca sempre un messaggio di speranza in una vita e in un mondo migliori. Qualcuno tra i suoi film, come Totò e Marcellino, è addirittura da cineteca, soprattutto per la parte finale ricca di spunti felliniani. Non parliamo poi, del Totò poeta e autore di molte canzoni e poesie come, per citare le più note, ‘A livella e Malafemmina.
Nel celebrare Totò nel cinquantesimo anniversario della morte avvenuta il 15 aprile del 1967, ci siamo caricati di una bella responsabilità perché la personalità artistica del principe de Curtis non è facilmente comprimibile nello spazio di un solo articolo. Speriamo di cavarcela, allora, concludendo col dire che Totò come uomo era un individuo sicuramente convenzionale e borghese, come artista, invece, era un incorreggibile anarchico. E l’anarchia creativa, quale che sia il suo campo di attività, è il segno che contraddistingue il grande artista.
Se non fosse che la sua tomba si trova nel cimitero napoletano di Poggioreale, a novecento chilometri da noi, giureremmo di avere sentito la sua voce mentre spegnevamo il computer: «Convenzionale io, turpe malcreato? Ma non dica pinzillacchere!».
You must be logged in to post a comment Login