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Opinioni

UN MONACO LEADER

LUISA NEGRI - 07/04/2017

san-francescoSo di non sapere di politica, nel senso che sono convinta di capirne poco e di volerne capire ancor meno. Non mi è facile ad esempio accettare la convinzione di Machiavelli secondo la quale il fine giustifica i mezzi, né la sua esortazione a far uso della forza del leone e dell’astuzia della volpe.

Ma, soprattutto, non riesco a star dietro, tra le tante incombenze della quotidianità, all’infinita sequela di volteggi, giri di valzer e di giacca, e tanto altro dei protagonisti della politica. Mi viene però voglia di dire la mia: perché mi sembra che, tra giochi e giochetti, tra baruffe e battute, a perderci siamo tutti noi.

Assistere a spettacoli senza capo né coda produce un sentimento di rifiuto, di frustrazione, ma anche di ribellione: che io voglio intendere però, solo in senso costruttivo, nel senso che a ciascuno ė dato, in democrazia, di esercitare la necessaria critica, verso i protagonisti, ma anche verso quanti gli vanno dietro quando i primi combinano solo guai. Penso per esempio a chi ha votato il referendum sulla Brexit – capitanata dal maldestro Cameron che ne ha fatta una bandiera – e vede ora concretizzarsi i primi disastri dell’incauta scelta, e penso agli elettori di Trump, che forse cominciano a capire di aver fatto autogol.

Se si hanno politici indegni, si deve ammettere che la colpa è anche di chi li sceglie, di chi si fa riempire la testa da facili slogan, da promesse esagerate, da campagne costruite sul nulla. Perché è facile accusare l’avversario politico, sbraitando a destra e a sinistra: più difficile ė indicare soluzioni concrete.

In politica manca ormai sempre più l’idea unificante, quella che fa di un gruppo disomogeneo di individui un gruppo coeso e complice, di un progetto una strategia, di un sogno una possibilità attuabile in tempi reali. E penso che l’idea unificante non dovrebbe essere altro che l’intelligenza votata al bene di tutti. Cioè innanzitutto il senso di un cammino che guarda in avanti, nel comune interesse a far progredire un paese, un popolo, risolvendone i problemi, i nodi fondamentali, con pazienza e determinazione, con senso di sacrificio e dedizione. In seconda battuta dev’essere un cammino che sposa -alla fondamentale concretezza- originalità, fantasia, genialità. Dote che in realtà a noi italiani non è mai difettata. E di cui dovremmo imparare davvero a fare uso, anche ricorrendo e ricercandola in chi, più di altri, dimostra di averla.

Sono questi tempi in cui l’apparenza e il qualunquismo prevalgono, anche in politica, sull’intelligenza: non è un caso che le scelte degli elettori finiscano per premiare, qui come altrove, chi si presenta più come personaggio che come persona, o chi si impone nei media facendo largo uso del web. O chi ha già avuto successo, non di rado tradotto in un forte potere personale, anche economico. Scelta questa che ha spesso, come conseguenza, il rischio di conflitti di interesse quando si assumono incarichi di un certo peso.

Gli stessi politici, che cambiano casacca a seconda del vento, o sfoggiano una T-shirt diversa ad ogni passo compiuto, più che dar conto dei contenuti dei loro programmi o dell’operato, attribuiscono forse troppa importanza ai loro panni. Dimenticando che, come suggerisce il buonsenso – quello popolare continuamente solleticato dal web – l’abito non fa il monaco.

A proposito di monaco, se i politici conoscessero la storia di Francesco, il santo patrono d’Italia, dovrebbero sapere quanta poca importanza aveva per lui l’abito esteriore: alla ricchezza di vesti preziose, che avrebbe potuto indossare, essendo figlio di un ricco mercante di tessuti, preferì poveri indumenti e la nudità delle carni, ricoperte solo dalla ruvidezza di un saio.

A Francesco dedicò uno splendido ritratto Hermann Hesse. Riteneva che il poverello di Assisi fosse parte “di quella schiera di uomini straordinari, grandi sognatori, anime eroiche che hanno sempre disdegnato di bere ad acque torbide, né si sono mai accontentati di un nome in luogo della sostanza, né di un’immagine al posto della realtà (…) e che hanno riscoperto l’essenza e la legge dell’uomo interiore perché si ponevano di fronte alla terra e al cielo per così dire nudi, come se fossero stati i primi uomini, mentre noi riteniamo di poter vivere solo nell’involucro di idee rassicuranti e di convenzioni tramandate”.

La vera ricchezza di Francesco stava sotto quel saio, in quel cuore che gli dettava amore verso tutti i fratelli, e in quella mente pura, da cui prendevano forma progetti grandi destinati ad arrivare, e pervenuti davvero, come la storia ancora dimostra, fino a noi.

L’idea unificante potrebbe, dovrebbe essere, proprio l’amore folle, quello del figlio del mercante di Gubbio, Francesco: che abbraccia insieme la natura – nel rispetto della sua bellezza fertile- la fratellanza dell’umanità- che non può conoscere differenze di provenienza, non avendone altra se non quella della vita da cui ciascuno arriva- la povertà universale, che ci unifica tutti, dalla capanna alla reggia, dalla favela alla Casa Bianca, nell’inevitabile richiamo alla malattia e alla morte.

Sorella morte, così la chiamava Francesco.

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