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Cultura

ARAZZI POETICI

RENATA BALLERIO - 31/03/2017

khayyamIl 21 marzo 2000 si celebrò per la prima volta la Giornata Mondiale della Poesia, come era stato deciso l’anno precedente dall’UNESCO. Se è vero che c’è una sorta di bulimia di giornate dedicate a qualcosa, che – nel bene o nel male- obbligano ad una riflessione mirata sul tema, non è così scontato ricordare le motivazioni che portano a fissare queste ricorrenze in un nuovo calendario laico. La conferenza generale dell’UNESCO decise di dedicare una giornata alla poesia per riconoscere al linguaggio poetico un ruolo privilegiato. Nella motivazione si legge che la poesia promuove il linguaggio della comprensione e del dialogo interculturali, la diversità linguistica e culturale per una comunicazione di pace. Può sembrare una domanda banale, ma abbiamo davvero bisogno tutti i giorni di poesia? Ne abbiamo bisogno perché abbiamo bisogno di un linguaggio che creativamente ci faccia comprendere che non c’è nulla di scontato e che tutto può essere visto con occhi diversi, svelandoci le contraddizioni del mondo, che tendiamo -a volte- a negare.

Proprio per questo è quasi terapeutico leggere (o rileggere) il poeta persiano

Omar Khayyam, vissuto tra il 1048 e il 1131. Anche una pigra ricerca su Internet ci permette di sapere che Khayyam fu, oltre che poeta, astronomo e matematico.

Per inciso si dovrebbe riflettere su quanto bisogno ci sia di unire ancora in un dialogo fecondo scienza e poesia, che abbiamo separato.

Le poesie del più famoso poeta persiano si possono leggere nella raccolta Quartine, che vennero conosciute in Occidente, tramite una libera traduzione in inglese soltanto dal 1859. Questi versi hanno fatto sì che il loro autore sia stato definito il massimo cantore del vino. Tutte le definizioni –si sa- sono pericolosamente limitanti ma anche occasione per intraprendere nuovi percorsi.

Nelle quartine definibili dell’ironia si legge:

Mi dice la gente: “Gli ubriachi andranno all’inferno!
Ma son parole queste prive di senso pel cuore:
se dunque andranno all’inferno i bevitori e gli amanti,
vedrai il Paradiso domani nudo come palmo di mano!
 

Forse sentiamo lontana l’ironia di questa quartina, non ricordandoci di come la cultura islamica condanni bere il vino ma prometta ruscelli di vino nel paradiso. Nel XII secolo, cioè nel V secolo dell’Egira, il poeta persiano poteva far riflettere su questa contraddizione ma proprio per questo fu censurato dagli Ajatollah iraniani in tempi a noi più vicini. Tralasciando questo tipo di considerazioni culturali, dovremmo, invece, sentire la malinconica bellezza della forza evocatrice del vino, che, associato all’amore,ci aiuta a vincere la paura della morte. E qui i nostri pensieri corrono ai versi di Orazio, al suo carpe diem, che invita a cogliere ogni attimo, sia esso positivo o negativo. Leggiamo ora senza filtri interpretativi ma con gli occhi del cuore alcuni versi di Omar Khayyam:

… Pel nostro cuore
Porta un’anfora di vino, che ne brindiamo insieme
prima ch’anfore facciano della nostra argilla nera.

 

Sono versi che, al di là dello spazio e del tempo, sintetizzano intensamente il pendolo tra vita e morte e sono inno alla vita, come nella seguente quartina:

 È una dolce giornata, l’aria non è né calda, né fredda
La nube deterge di gocce la polvere al volto dei fiori,
L’usignolo in suo muto linguaggio grida alla pallida rosa:
Bere dobbiamo, dobbiamo, bere, bere, vino.
 

È una quartina che ci regala immagini di gioioso amore, in cui c’è armonia tra sorseggiare il vino e gustare la bellezza personificata della natura. Come in un arazzo Khayyam ci avvolge in domande che vincono il tempo e ci fanno dialogare con la parte più misteriosa del nostro esistere.

Pertanto, per i miracoli che soltanto la poesia può fare, diventiamo simili a quanto i versi di una altra celebre quartina del poeta persiano evocano, permettendo di costruire il dialogo, non solo culturale, auspicato dall’UNESCO.

Se ebbro io sono di vino delle taverne dei Magi, ebbene ?
E se dissoluto amante e buontempone e idolatra, ebbene?
Ognuno pensa di me secondo sue fantasie,
Ma io solo so bene che quel che sono, sono.

 

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