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Cultura

ARTE COME CRITICA E LIBERTÀ

LIVIO GHIRINGHELLI - 31/03/2017

adornoEsponente di spicco con Horkheimer dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte Theodor Adorno (1903-1969) ha compiuto in gioventù studi musicali a Vienna, seguace dell’avanguardia dodecafonica con Alban Berg ed estimatore di Arnold Schönberg per l’abbandono della tonalità e il metodo della composizione fondato su dodici note non imparentate tra loro, quali soluzioni di una crisi dell’arte in senso negativo, mentre in Igor Stravinsky la svolta si pronuncia in direzione conservativa e di restaurazione, esemplificata nella sperimentazione politonale.

Vari sondaggi sociologici del nostro stigmatizzano la mercificazione della musica, specie di quella “leggera”, la sua riduzione a consumo. Costante in lui la valorizzazione del carattere liberatorio e critico dell’esperienza artistica, che è al contempo negazione della barbarie culturale e dell’organizzazione capitalistica della cultura. La ricerca musicologica di Adorno si farà esperienza professionale quando a Princeton, raggiunta dopo Parigi e Oxford nel 1938, per sfuggire alla persecuzione nazista, dirigerà la sezione musicale della radio locale. Non meno significativo il contributo offerto a Thomas Mann perle parti musicologiche del Doctor Faustus (nel patto tra Faust e il diavolo è colta la metafora della storia della Germania nazista).

Fondamentali di Adorno la Filosofia della musica moderna (1949: comprende i saggi Schönberg e il progresso, Stravinsky e la restaurazione, le monografie Wagner (pubblivate nel 1952), Mahler (1960) e Berg (1968), La musica nel mondo amministrato (1956), Introduzione alla sociologia della musica (1962).

Compito dell’opera d’arte è per Adorno lo smascheramento critico. La logica del consumo prodotta dall’industria culturale la nullifica e falsifica. L’arte è divenuta in amplissima misura un’impresa guidata dal profitto.

Adorno non accetta di Walter Benjamin (1892-1940) la distinzione tra arte classica, non riproducibile e caratterizzata da un’aura e arte contemporanea, riproducibile tramite la tecnica e di massa. Ogni opera d’arte è per sua natura riproducibile e collettiva. L’arte deve reagire criticamente alla realtà dell’industrialismo, opporsi allo spirito del tempo, non accettare le imposizioni della moda, elevarsi al di sopra degli standard tecnologici e materiali del proprio tempo. La grande opera d’arte è d’élite. Non deve divenire riflesso di quella tecnocrazia, che socialmente è la forma di dominio camuffata sotto l’apparenza di razionalità. Adorno privilegia kantianamente il fenomeno estetico nella sua finalità senza scopo.

C’è una dialettica sempre presente nell’arte moderna fra il suo comportamento mimetico, residuo della componente magica originaria e la sua razionalità. L’arte è un momento del disincanto del mondo. Possiede un rapporto intimo con la verità, che si può ricavare solo mediante la riflessione filosofica. Ma il contenuto di verità non è individuabile in una realtà superiore astratta, in un’idea, com’è nella tradizione romantica e idealistica. All’interno della singola opera il nocciolo viene rintracciato nella dimensione formale, che racchiude la verità dell’opera. Quanto più profondamente penetrate di forma, tanto più le opere si fanno ritrose nei confronti dell’apparenza. La ritrosia è in contrapposizione al momento fantasmagorico delle opere. Quella che importa è l’universalità, che risulta immanente alla singolarità dell’opera e possiede un carattere immediatamente collettivo nel processo che unisce l’emozione soggettiva e la forma artistica.

Le opere d’arte non sono né puro moto dell’animo, né sua forma, bensì il processo coagulato fra i due, processo sociale. La verità non va cercata nel chiuso della sua autonomia sistematica. Tramite l’interpretazione critica si interpreta uno specifico contenuto di verità racchiuso in un’opera determinata. La grande opera contiene un’eccedenza di aspetti extraartistici.

Nella prospettiva degenerativa che accompagna l’arte il suo inserimento all’interno della produzione culturale la fa tesa all’arte “amministrata” propria del nostro tempo. Si decide tutto conformisticamente in anticipo. L’arte diventa conoscenza sociale allorché coglie l’essenza, portandola a manifestarsi. Comunque l’oggetto nell’arte e l’oggetto nella realtà empirica sono cose completamente diverse; la fotografia in ogni caso è sempre falsificante.

Per Adorno l’arte del Novecento non deve essere realistica, naturalistica, bensì distruttiva degli ottimismi illusori, delle certezze infondate (in riferimento a Kafka, Beckett,Trakl, per le mutilazioni, scissioni e degradazione, che la vita subisce). Con la scomparsa della totalità antagonista e la redenzione della particolarità si può conseguire la pace in quanto stato di una differenziazione senza potere, nel quale ciò che è differenziato reciprocamente partecipa dell’altro.

Alla lotta di classe va sostituita la resistenza al dominio di piccole minoranze. La ragione dialettica chiama in campo l’irragionevolezza di fronte alla ragione dominante. “Col suo pianto e il suo canto l’uomo penetra nella realtà alienata” (Filosofia della musica moderna). La totalità sociale esige da ciascun individuo la subordinazione, mentre la felicità integrale balugina come surrogato nella fantasia e nell’arte.

Si è passati dal soggetto autocosciente dell’idealismo classico tedesco alla sostanza amorfa, alla comunità conformistica americana, alla Gleichschaltung (livellamento coatto) nazionalsocialista o al partito dai mille occhi.L’Aufklärung (rischiaramento) porta da una barbarie all’altra. Dialettica dell’Illuminismo – 1947 – (scritta in collaborazione con Horkheimer): la ragione si intreccia con il dominio, la sua funzione liberante è sempre più soffocata dal totalitarismo. L’opera conduce una serrata critica del primato della matematica all’interno delle scienze, della sempre maggiore importanza della logica formale: modalità di considerare l’esperienza, che negano tutto ciò che è qualitativo.

Con Eclisse della ragione (1947) Horkheimer e Adorno vedono cominciare, col tramonto della metafisica, il progressivo trionfo della ragione soggettiva, scientifica, calcolistica, interessata al rapporto tra mezzi e scopi, razionalità strumentale, con eliminazione di qualsiasi spazio per il pensiero contemplativo ; gli individui perseguono soltanto interessi egoistici e questo è funzionale agli interessi della grande industria, per cui risultano comprensibili gli esiti totalitari.

Con Dialettica negativa (1966) Adorno rifiuta il finalismo di Hegel e si pone in forte contrapposizione con il positivismo. La dialettica costituisce uno strumento per scardinare la presunta impenetrabilità e intrasformabilità del reale, per svelare come il gigante del dominio abbia i piedi di argilla e per sciogliere l’identità, la totalità e la reificazione sociale con l’acido corrosivo delle contraddizioni.

Al concetto di lotta di classe Adorno contrappone la resistenza singola o di ristretti gruppi, quella di posizione in trincee sparse, poiché il soggetto storico dell’emancipazione, il proletariato, è divenuto incapace di opporsi alla potenza dell’esistente, compresso com’è tra socialismo burocratico, enfatizzazione dei costumi e terrore fascista.

In Minima moralia (1951), suo capolavoro, raccolta di aforismi, l’autore si adopera a distruggere i luoghi comuni dell’ideologia americana, ribadendo le ragioni del pensiero critico, dell’utopia.

Va menzionato d’Adorno anche il suo scontro con l’ideologia heideggeriana e per gli ultimi anni la rimeditazione sui concetti di contraddizione e di totalità in relazione al sistema hegeliano e l’analisi impegnativa della fenomenologia di Husserl.

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