Sebbene siano la chiave per la buona salute e il benessere economico, acqua e servizi igienici rimangono assai meno di una priorità per lo sviluppo in Africa. Pur essendo firmataria di numerosi accordi che impegnano per la sicurezza dell’acqua, l’Africa non può permettersi una infrastruttura per portare l’acqua a tutti, ben sapendo che ciò può contribuire alla fame, alle guerre e all’emigrazione incontrollata e irregolare.
L’Africa sub-sahariana utilizza meno del cinque per cento delle sue risorse idriche, ma rendere l’acqua a disposizione di tutti è ritenuto economicamente proibitivo. Secondo il Consiglio mondiale dell’acqua, un’associazione globale con oltre 300 membri fondata nel 1996 per sostenere per la sicurezza idrica mondiale, il mondo dovrebbe spendere circa 650 miliardi di dollari all’anno da qui al 2030 per costruire le infrastrutture necessarie per garantire la sicurezza universale dell’acqua.
In particolare l’Africa e i governi mondiali che dovrebbero contribuire non offrono investimenti nel settore idrico; per esempio, il continente nero ha più cittadini con i telefoni cellulari che con l’accesso all’acqua pulita e servizi igienici. Un rapporto 2016 pubblicato da Afrobarometer, una rete di ricerca pan-africana, che ha esplorato l’accesso ai servizi di base e le infrastrutture in 35 paesi africani, ha scoperto che solo il 30 per cento degli africani ha accesso a servizi igienici e solo il 63 per cento alla rete idrica – mentre il 93 per cento ha ottenuto un servizio di telefonia mobile.
Le malattie legate all’acqua provocano 3,5 milioni di morti ogni anno, secondo il Water World Council, per un costo di 500 miliardi di dollari all’anno.
L’acqua è un ingrediente essenziale per lo sviluppo sociale ed economico in quasi tutti i settori. Fornisce abbastanza cibo per tutti, offre forniture di energia sufficienti e sostenibili, e garantisce stabilità industriale e di mercato: ma 2,4 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienici, che, si stima, costerebbero 4,3 dollari in cambio di ogni dollaro richiesto dall’eliminazione di costi sanitari.
C’è infine la questione delle acque di scarico. Le Nazioni Unite definiscono le acque reflue come “una combinazione di effluenti domestici consistenti in escrementi, urina e fanghi fecali e acque grigie (cucina e bagno delle acque reflue) oltre ad acqua da stabilimenti commerciali, istituzioni industriali ed effluenti agricoli”. Attualmente solo il 20 per cento di prodotti a livello globale delle acque di scarico riceve un trattamento adeguato, e questo pesa sul reddito di un paese.
Un cambiamento di paradigma è ora richiesto nella politica dell’acqua in tutto il mondo non solo per evitare ulteriori danni agli ecosistemi sensibili e per l’ambiente acquatico, ma anche per sottolineare che le acque reflue sono una risorsa (in termini di acqua e anche di sostanze nutritive per uso agricolo) la cui efficacia di gestione migliora il bilancio dell’intero ciclo e preserva le riserve in falda.
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