Ancora insulti. Questa volta è la mafia a farne uso, contro don Ciotti di Libera, con parole minacciose e intimidatorie, apparse nottetempo sui muri dell’arcivescovado dove era ospite: “Sbirri siete voi, don Ciotti assassino”, “Più lavoro meno sbirri”, “don Ciotti sbirro”.
Il termine sbirro evoca epoche lontane quando lo sbirro era la guardia medievale o il bravo del Manzoni. Dal latino tardo “birrus” rosso, preceduto da una s detta “intensiva”, fa riferimento al rosso della casacca che alcune guardie del Medioevo e del Rinascimento indossavano come uniforme. Soldataglia al servizio del signorotto di turno, braccio armato che imponeva il proprio dominio con la forza.
Sbirro è parola portatrice di una memoria storica secolare, ricorda un’oppressione subita e mai dimenticata, è termine rimasto dispregiativo anche quando riguarda il poliziotto o il carabiniere dei nostri giorni.
Laddove lo Stato viene considerato nemico, i suoi difensori, per proprietà transitiva, si trasformano in altrettanti nemici che difendono l’ordine per conto di un’istituzione non riconosciuta, in questo caso lo Stato.
Nel Sud sbirro viene assimilato a spione e precisa da subito l’appartenenza della persona da isolare al gruppo dei nemici. Pertanto gli amici degli sbirri, che stanno dalla parte dell’ordine costituito, si fanno sbirri a loro volta.
Fare la spia è comportamento censurato in ogni cultura perché si porta dietro l’dea di un tradimento della propria identità. Accettando senza discutere di far parte di un determinato insieme di persone, si assimilano i codici che esse esprimono e si garantisce la durata dell’organizzazione.
Sbirro è un’offesa grave, si usa contro chi si chiama fuori dal contesto mafioso e mette a rischio la sopravvivenza dell’organizzazione criminale stessa.
Per la cultura mafiosa don Ciotti sta dalla parte del potere costituito, dello Stato; si spende nelle scuole e nelle piazze d’Italia per portare un messaggio, semplice e comprensibile a tutti: la mafia è sinonimo di morte. Solo la legalità può ridare vita nuova a un popolo oppresso: gli studenti, gli insegnanti, i giovani, i preti coraggiosi che lo ascoltano, infrangono il senso dell’appartenenza alla mafia incuneando il dubbio che un‘altra società sia possibile.
Don Ciotti propone un punto di vista inaccettabile per le mafie: i difensori della legalità, gli sbirri di oggi, sono i fedeli servitori di una società di uomini liberi e non invece i protettori dei padroni di turno.
Trovo interessante, sia sul piano linguistico sia su quello culturale, l’insulto “sbirro”. Perché mostra una crepa dentro la cultura mafiosa, mette in luce la paura della mafia che giovani e adulti scelgano la via della legalità allontanandosi inesorabilmente dalla “famiglia”.
E dunque, un tutore dell’ordine, poliziotto, carabiniere, finanziere, “sbirro” per scelta, dovunque si rechi rappresenta lo Stato, difende le istituzioni, si riconosce nella società, nella scuola, nel mondo del lavoro, nella politica.
Ma ora che sbirri sono diventati don Ciotti e i suoi amici, l’insulto perde la sua potenza offensiva per diventare una parola diversa, quasi lieve: sinonimo di tutori della legalità, della giustizia, del diritto.
You must be logged in to post a comment Login